Diplomati magistrali, incombe nuovamente la mina. Possibili contraccolpi politici
“Il possesso del solo diploma magistrale, sebbene conseguito entro l’anno scolastico 2001/2002, non costituisce titolo sufficiente per l’inserimento nelle graduatorie ad esaurimento del personale docente ed educativo”.
Il principio di diritto affermato dal Consiglio di Stato nella nota sentenza n. 11 del 20 dicembre 2017 sembra non lasciare dubbi: nessun vecchio diplomato magistrale, in possesso soltanto del diploma conseguito entro il 2001-02, può entrare nelle GAE né può rimanervi iscritto.
Nonostante questa chiara massima, l’esclusione di oltre 40 mila diplomati dalle GAE è tuttora condizionata dalle pronunce dei tribunali (che dovranno conformarsi alla sentenza del CdS); pronunce che non potranno trovare applicazione – come ha disposto la legge ‘dignità’ – prima che siano trascorsi 120 giorni (entro metà di dicembre 2018).
Nel frattempo le graduatorie ad esaurimento (da cui attingere per le immissioni in ruolo) e le graduatorie d’istituto (da cui attingere per le supplenze annuali o fino al 30 giugno) non sono state depurate dai diplomati magistrali interessati alla sentenza del Consiglio di Stato.
Le graduatorie sono ancora quelle dello scorso anno e, proprio come l’anno scorso, serviranno per replicare nomine (con riserva) in ruolo o in supplenza annuali o fino al 30 giugno per migliaia di diplomati magistrali (già esclusi dal Consiglio di Stato), proprio come era avvenuto l’anno scorso prima della sentenza n.11/2017.
Ma mentre allora erano rimasti, comunque, al loro posto fino al termine dell’anno, questa volta, invece, cancellati definitivamente dalle GAE, dovrebbero interrompere il contratto in atto.
Prima di Natale, concluso il periodo di congelamento della sentenza del Consiglio di Stato, si prospettano, quindi, due rischi con possibili contraccolpi politici.
Tutti i contratti a tempo indeterminato o determinato conferiti per il 2018-19 ai diplomati magistrali ex-GAE potrebbero essere annullati con effetto immediato, interrompendo la continuità didattica a seguito di nuovi contratti ai docenti avente titolo.
Sarebbe clamorosamente vanificato l’obiettivo di salvaguardare la continuità didattica nell’interesse degli alunni che aveva giustificato l’intervento straordinario (art. 4) del decreto legge ‘dignità’.
Si salverebbero da questo azzeramento dei contratti in corso d’anno soltanto i 9.300 docenti salvati dalla legge ‘dignità’ (circa 6.650 già di ruolo e quasi 2.650 già supplenti annuali nel 2017-18) che potranno lavorare fino al 30.giugno 2019.
Questo della discontinuità didattica potrebbe essere il primo rischio che, come si può intuire, coinvolgendo non meno di 40 mila docenti diplomati di primaria e infanzia e altrettanti classi coinvolte, provocherebbe un contraccolpo negativo nei due settori interessati, con imprevedibili effetti politici e sindacali.
Di fronte a tale rischio, il Governo e il Ministro potrebbero essere tentati di prorogare i contratti fino al termine dell’anno scolastico, in nome della continuità didattica. Si tratterebbe di una proroga che tuttavia, allo stato attuale, non avrebbe alcuna legittimazione giuridica.
Una eventuale decisione politica di questo genere, ancorché di evidente forzatura normativa, si esporrebbe, comunque, ad un contenzioso infinito da parte dei docenti controinteressati che avrebbero titolo a subentrare agli ex-GAE non legittimati a rimanere in servizio fino al termine dell’anno scolastico.
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