Da Plutarco a Morin: tornare all’essenziale

Gli studenti non sono vasi da riempire ma fiaccole da accendere”, scriveva Plutarco quasi 2000 anni fa, criticando la tendenza dei maestri di allora a caricare sulle spalle e nelle teste dei giovani loro affidati una eccessiva ed eterogenea quantità di contenuti e nozioni anziché svilupparne l’autonoma capacità e voglia di apprendere.

Questo appello a non sovraccaricare i percorsi di studio degli studenti è stato ripetuto più volte nel tempo, fino al celebre consiglio di Montaigne, in pieno Rinascimento, a scegliere insegnanti (precettori, a quel tempo) con una “testa ben fatta” anziché “ben piena”, poi ripreso da Edgar Morin nel suo libro del 1999 La Tête bien faite, scritto alle soglie del terzo millennio, ispirato al paradigma della complessità, intesa come superamento della frammentazione otto-novecentesca dei saperi, che solo una testa ben fatta è in grado di ricomporre e governare razionalmente.

La continuità inerziale dei sistemi scolastici e il carattere essenzialmente disciplinarista della formazione degli insegnanti di scuola secondaria, accentuato in Italia dalla rigidità della normativa sugli orari e le cattedre, hanno reso assai difficile che l’invito di Morin potesse essere raccolto dai governi, anche dove l’autonomia organizzativa e didattica delle scuole è più forte che da noi. La progressiva, e da ultimo esponenziale, crescita delle tecnologie (TIC), con la loro logica multimediale e crossmediale, va da qualche anno in direzione dell’approccio indicato da Morin, che è stato però ostacolato dalla resistenza degli apparati e dal conservatorismo di molti insegnanti, soprattutto anziani, e dei loro sindacati.

Negli ultimi due mesi la sfida portata dal Coronavirus alla didattica in presenza ha tuttavia profondamente alterato le condizioni di contesto e di processo dei tradizionali sistemi educativi, costretti a ricorrere alla didattica a distanza e a una sorta di homeschooling di massa che è stato reso possibile proprio dalle TIC. Ci si è così resi conto, e non solo per quanto riguarda la scuola secondaria superiore (l’università ha retto la novità molto meglio), dell’enorme quantità di conoscenze richieste agli studenti in un numero rilevante di discipline.

Si pone ancora una volta, specie se a settembre si dovrà ricorrere al distanziamento degli studenti in classe, e/o ai doppi turni e/o alle flipped classroom, il problema – riproposto da Morin in una recente, lucida intervista pubblicata nel settimanale ‘La Lettura’ del Corriere della Sera (5 aprile) – dell’alleggerimento dei piani di studio, troppo densi e frammentati, e nello stesso tempo della loro ricomposizione interdisciplinare. A percorsi di studio meno dispersivi e più concentrati sull’essenziale (less is more) guarda anche Dylan Wiliam, professore emerito presso l’UCL Institute of Education di Londra, ascoltato consulente dei governi inglesi degli ultimi anni, che giunge a definire “immorale” il sovraccarico dei curricoli.

Settembre è alle porte. Di questi problemi e della definizione di una strategia adeguata, che guardi al futuro e non all’impossibile ripristino dello status quo ante-Coronavirus è doveroso discutere fin da ora, come hanno iniziato a fare i componenti dell’ex ‘Comitato Scientifico Nazionale per l’accompagnamento delle Indicazioni nazionali della scuola dell’infanzia e del primo ciclo’ in un interessante e argomentato documento pubblicato su Tuttoscuola.com.