Da Letta a Renzi/1. Ma non è una ‘staffetta’

Il termine staffetta, nelle competizioni sportive, implica il passaggio del testimone dal componente di una squadra all’altro, impegnati solidalmente nella stessa competizione e con lo stesso obiettivo. Questo termine è stato impiegato da una parte dei media anche per indicare il passaggio della guida del governo da Enrico Letta a Matteo Renzi, esponenti dello stesso partito, il Pd.

Ma per come sono andate le cose nella scorsa settimana tutto si può dire tranne che i due nuovi ‘cavalli di razza’ (così vennero chiamati un tempo Amintore Fanfani e Aldo Moro) della scuderia Pd si siano passati il testimone come in una staffetta. Ciascuno dei due ha fatto la sua corsa e ha giocato le sue carte: Letta convocando il giorno 12 febbraio una conferenza stampa sul programma di governo per il 2014 e oltre (“Impegno Italia”), Renzi facendo bocciare il giorno dopo tale programma dalla direzione del Pd, e proponendo se stesso alla guida di un nuovo e diverso governo con un programma snello e selettivo (non certo, fa sapere, le 58 pagine presentate da Letta).

Un programma con sei priorità: legge elettorale (la più urgente), riforme istituzionali, piano per il lavoro, accelerazione e snellimento delle procedure burocratiche, consistente taglio dei costi della politica (e di Palazzo Chigi), piano di rilancio per scuola e ricerca.

Le proposte di merito relative a queste priorità sono in alcuni casi già abbastanza definire e note (legge elettorale, abolizione/trasformazione del Senato, job act, costi della politica). Meno definite quelle che riguardano la burocrazia e la scuola.