Crocifisso/2. Ma è davvero solo un ‘simbolo passivo’?

Tra le motivazioni addotte dalla Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo per giustificare l’accoglimento del ricorso presentato dal governo italiano insieme a un’altra decina di Stati e organizzazioni non governative sta il carattere passivo del simbolo rappresentato dal crocifisso.

L’intenzione era quella di considerare inesistente o comunque irrilevante l’effetto dell’esposizione del crocifisso sull’orientamento religioso degli alunni. Tanto irrilevante da dar torto ai genitori che si erano rivolti alla Corte europea per ottenere la rimozione dello stesso crocifisso dalle aule delle scuole italiane, e ragione allo Stato italiano ricorrente: che effetti potrà mai produrre un simbolo passivo?

Ma sul carattere passivo del crocifisso è lecito avanzare dubbi, perché il simbolo per eccellenza della tradizione cristiana ha influito in modo determinante sull’evoluzione culturale dell’Europa, anche di quei Paesi europei che ne hanno tradotto in chiave laica l’idea di persona, individuo irripetibile creato a immagine di Dio.

Sembrano più convincenti le parole scritte nel 1988 sul quotidiano L’Unità dalla intellettuale di origine ebrea Natalia Ginzburg, non credente, anche allora a proposito dell’esposizione del crocifisso nelle scuole italiane: “Il crocifisso fa parte della storia del mondo. Per i cattolici, Gesù Cristo è il figlio di Dio. Per i non cattolici, può essere semplicemente l’immagine di uno che è stato venduto, tradito, martoriato ed è morto sulla croce per amore di Dio e del prossimo. Chi è ateo, cancella l’idea di Dio ma conserva l’idea del prossimo. Si dirà che molti sono stati venduti, traditi e martoriati per la propria fede, per il prossimo, per le generazioni future, e di loro sui muri delle scuole non c’è immagine. È vero, ma il crocifisso li rappresenta tutti”.

Sono parole che descrivono bene il ruolo non di un insignificante e statico simbolo passivo,  ma al contrario di un dinamico e universalistico simbolo attivo, capace di produrre solidarietà tra gli individui, non certo discriminazione.