Contratto scuola: il codice etico? Se non è interiorizzato non è efficace

Si riparla, anche in relazione ai confronti in atto in sede Aran per il rinnovo del contratto scuola, di un codice etico, o deontologico, che dovrebbe essere adottato dagli insegnanti. Finora le varie proposte, ripetutamente avanzate nel tempo, sono finite nel nulla per la difficoltà di connettere la dimensione morale nella quale si colloca per definizione un codice di questo tipo con quella giuridica e giurisdizionale.  

 

Un tentativo di superare tale difficoltà lo compie Mario Rusconi, presidente dell’ANP del Lazio, che parla di un “documento” che delinei “i parametri organizzativi della governance” e “le direttrici etico-professionali” che dovrebbero essere seguite nella scuola insieme all’adozione di un “trasparente sistema di valutazione del contesto scolastico”. Un principio corretto, vicino a quanto si fa anche in altri contesti (ad esempio le grandi imprese), ma forse un modo comunque complesso e faticoso, ci sembra, per far discendere nel mondo della scuola effetti procedurali (cioè giuridici) dal mancato rispetto di una norma morale.

 

Entro i limiti di obbligazioni di carattere esclusivamente etico si mantiene Alessandra Cenerini, presidente di ADi, l’associazione bolognese che già quindici anni fa (era ministro Letizia Moratti) contribuì alla stesura di un codice deontologico, ispirato a modelli internazionali basati su standard professionali che gli insegnanti si impegnano a rispettare (ma che richiederebbero un organo di autogoverno, come nelle professioni libere).

 

Nettamente contrario all’adozione formale di un codice etico si dichiara invece Francesco Sinopoli, segretario generale della Flc Cgil perché “si interviene dall’alto nel punto più delicato della didattica che lega ogni docente ai suoi studenti: il rapporto umano e professionale che richiede la fiducia, la credibilità e la responsabilità. Nessuno può dire come dev’essere, quali limiti debba avere, con quale vocabolario e con quale sintassi si debba parlare. Esiste già un’etica, una deontologia, che derivano dalla prassi quotidiana dell’insegnamento. Poi, se emergono casi estremi, ci  pensa il Codice penale”.

 

Sembra pensarla così anche il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, che esprime “perplessità sotto il profilo costituzionale” sulla possibilità di licenziare i professori accusati di molestie, “almeno in assenza di una condanna di primo grado”. Sostanzialmente contraria anche la segretaria della Cisl Scuola Maddalena Gissi, che fa presente che “centinaia di migliaia di insegnanti ogni giorno svolgono con competenza, serietà, generosità e passione il proprio lavoro: sono loro per primi a non tollerare comportamenti incompatibili con il compito di istruire ed educare le giovani generazioni”. Poi aggiunge che “per atti che comunque rappresentano rare eccezioni non ci può essere tolleranza né indulgenza”. Licenziamento dunque, ma in presenza di evidenze incontestabili, perché, rileva, “non sono mancati purtroppo casi di linciaggio mediatico rivelatisi poi privi di alcun fondamento”. 

 

Insomma, serve l’etica, non un codice etico che, almeno in Italia, dove non si è mai sviluppato un forte associazionismo professionale, avrebbe la stessa consistenza di un ircocervo.