Comparative Education/2. Il cambiamento in educazione nelle dinamiche storiche

Che rapporto c’è tra il cambiamento dei sistemi educativi e i più complessivi processi evolutivi che investono la storia delle nazioni? Si possono comparare i diversi sistemi nazionali (per esempio i modelli organizzativi, gli ordinamenti, i piani di studio, la formazione e i compiti degli insegnanti o dei capi di istituto) senza tener conto di come essi si sono storicamente strutturati, di quali modelli culturali essi siano implicitamente o esplicitamente portatori, di quali influenze nazionali e internazionali – idee guida, mode culturali, parole d’ordine – si siano su di essi riversate?

Queste ed altre problematiche riguardanti il rapporto tra comparazione educativa e storia sono state al centro della sessione pomeridiana della giornata di studio Sicese, introdotta dalla relazione di Robert Cowen, professore di Educazione comparata nell’Institute of Education dell’Università di Londra, uno tra i più autorevoli comparatisti contemporanei e forse il più strenuo teorico e difensore dell’indipendenza di questa disciplina di ricerca da ogni condizionamento esterno di carattere economico o politico. 

Nella sua relazione, intitolata “Comparative Education and History: old relationships and new questions”, Cowen ha ricostruito prima di tutto la storia della stessa disciplina distinguendo tre grandi fasi: nella prima (1820-1900), essenzialmente descrittivista, il rapporto con la ricerca storica è stato estrinseco, quasi inesistente; nella seconda (1900-1960), dominata dai totalitarismi e da due guerre mondiali, il rapporto si è fatto invece intenso, e le interrelazioni sono state studiate a fondo. Nella terza, cominciata dopo il 1960, “la Storia è morta”, nel senso che per iniziativa dell’Ocse e a causa del ruolo dominante di preoccupazioni e ottiche economiciste la comparazione ha riguardato sempre di più la misurazione dei risultati dei diversi sistemi educativi in termini di performance degli studenti nelle cosiddette competenze di base (reading literacy, matematica, scienze), in funzione di una asserita (ma non validata scientificamente) correlazione positiva tra livello delle performance, qualità dei sistemi educativi e sviluppo economico.

L’indagine PISA è da questo punto di vista esemplare perché nasconde l’obiettivo strategico di spingere i decisori politici nazionali ad accettare la logica economicista-produttivista dell’Ocse e delle multinazionali (di qui l’enfasi sulle ‘competenze’) dietro l’apparente neutralità socio-tecnica dei dati. Apparente perché i dati vengono raccolti attraverso test predefiniti dagli stessi artefici dell’indagine, test funzionali alla misurazione delle competenze, e non certo alla non misurabile qualità della formazione degli studenti per quanto riguarda, per esempio, il pensiero critico, la creatività, la sensibilità estetica, il senso della storia.

In questo modo, insiste Cowen, non si fa vera comparazione, perché i risultati delle indagini sono condizionati dalla metodologia applicata, sono insomma autodimostrativi. Servirebbe ben altro per effettuare comparazioni scientificamente fondate. Servirebbe soprattutto tener conto dei condizionamenti storico-culturali – per esempio dell’egemonia esercitata dagli USA in campo economico e dell’innovazione tecnologica – e studiare le forme di trasferimento, traduzione e trasformazione del ‘modello americano’ nei Paesi dell’area Ocse e di quelli emergenti.

Questo lo può fare solo la ricerca indipendente, conclude lo studioso inglese, “perché il dovere dell’Accademia è di dire la verità al Potere”.