ChatGPT dilaga e si moltiplica/2. Fine del canone pedagogico occidentale?

It’s basically high-tech plagiarism and a way of avoiding learning” (“È fondamentalmente una forma di plagio ad alta tecnologia e un modo per eludere l’apprendimento”). È drastica la bocciatura di ChatGPT da parte del celebre linguista (e tante altre cose) Noam Chomsky – 94 anni portati con grande lucidità – intervistato pochi giorni fa dal sito openculture.com. Ma altrettanto chiaro, però, è il suo giudizio che sia illusorio il tentativo di bloccarne o vietarne la diffusione nelle scuole e nelle università americane. L’unico antidoto a questa deriva sarebbe costituito, a suo avviso, dal miglioramento della qualità dell’azione didattica del docente, che dovrebbe dissuadere gli studenti dal ricorrere all’aiuto di questi software. 

La preoccupazione maggiore, nel dibattito in corso negli USA, è che gli studenti utilizzino i chatbot come ChatGPT per produrre gli elaborati scritti, gli “essays”, che in un Paese dove si fa da sempre un uso massiccio e pressoché esclusivo dei test valutativi (soprattutto dei quesiti a risposta multipla) sono considerati il più probante banco di prova della capacità dello studente di ricercare, riflettere e scrivere in modo autonomo. Se essi fossero prodotti dalla Intelligenza Artificiale crollerebbe il fondamento della “pedagogia umanistica”, l’unica vera alternativa, secondo Martha Nussbaum, a un’educazione piegata agli interessi economici, massificante, non interessata alla formazione critica e in definitiva alla libertà degli individui.

Anche in Europa, fucina storica del canone pedagogico occidentale – fondato secondo Benedetto Vertecchi “sui classici della cultura pedagogica, da Erasmo a Comenio, Rousseau, Locke e ai tanti altri che tra Ottocento e Novecentohanno conferito sistematicità ai diversi aspetti dell’educazione ponendo le basi per una comprensione sempre più approfondita delle esigenze degli allievi con riferimento al mutare delle condizioni di vita’ ” – viene denunciato il rischio di spersonalizzazione contenuto in una torsione economicistica dell’educazione, alla quale una scuola iperdigitale, dominata dalle varie applicazioni dell’IA, sarebbe funzionale. In Francia sono molte le scuole e le università (come Sciences Po) che vietano l’uso di ChatGPT, e vari governi hanno allo studio provvedimenti. In Italia si sta muovendo il Garante della privacy. Ma l’impressione è che vietare servirà a poco o nulla, come già si è visto con gli smartphone.

Gli imponenti processi di scambio e ibridazione in corso fra dimensioni biologiche e dimensioni macchinali, tra reti neurali umane e artificiali, finiranno per trasformare radicalmente i contesti in cui gli studenti apprendono fin dalla prima infanzia.

La questione di come salvaguardare l’eredità più preziosa della tradizione pedagogica occidentale, che è quella della sua vocazione liberale e liberatrice, resta aperta e merita grandissima attenzione. (O.N.)

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