C’era una volta il Direttore

Ci fu un tempo, neanche tanto lontano (fino a 15-20 anni fa), in cui i direttori generali del Ministero della Pubblica Istruzione erano pochi, potentissimi, rispettatissimi e… poveri (o per meglio dire, con uno stipendio poco sopra la media).

Il loro potere era fondato sulla stabilità dell’incarico, spesso gestito per lunghissimi periodi, che attraversavano intere legislature e vedevano alternarsi diversi ministri e sottosegretari (nella cosiddetta prima repubblica la durata media dei governi era di 9-12 mesi), che spesso si limitavano ad apporre la loro firma sotto la valanga di provvedimenti da sempre predisposti dalla prolifica burocrazia ministeriale. A nessuno di loro, con una parziale eccezione agli inizi degli anni settanta dello scorso secolo, quando un governo Andreotti favorì l’esodo dei superburocrati, sarebbe venuto in mente di andare in pensione prima di esservi costretti per raggiunti limiti di età. Eppure guadagnavano piuttosto poco, avevano vecchie automobili di servizio di cui facevano parco uso, e mezzi assai modesti, dal ciclostile al fax alla mitica telescrivente.

Ma erano i Direttori per eccellenza, con la D maiuscola, e non solo perché erano pochi e tutti residenti negli austeri uffici di viale Trastevere, ma perché l’organigramma era piramidale, e dai pochi direttori generali centrali dipendevano i “dirigenti superiori”: provveditori agli studi, capi degli uffici scolastici regionali e alcuni funzionari di lungo corso di viale Trastevere. Nonché gli ispettori, i “comandi”, e i fondi per l’aggiornamento, il controllo dei concorsi, insomma il “potere”, sia pure burocratico, accresciuto dalla fragilità di quello politico.

Il decentramento, l’autonomia delle scuole e la riforma della burocrazia hanno cambiato in profondità tale assetto, hanno reso la struttura della scuola, nel bene e nel male, più “orizzontale”: e dunque più decentramento e più direttori generali, ma meno potere e meno attaccamento allo stesso. In compenso molti più soldi. E’ forse questa una delle ragioni che spiega la ventilata “fuga” di tanti direttori dai Palazzi (il fenomeno non riguarda solo quello di viale Trastevere) nei quali un tempo regnarono i loro meno benestanti ma più potenti predecessori.