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Capra e cavoli: insegnanti misti iperspecializzati

Sul vivace dibattito in corso a proposito della figura dell’insegnante di sostegno riceviamo e volentieri pubblichiamo il contributo inviatoci dal prof. Paolo Fasce.

Invitiamo i lettori a intervenire nel dibattito e a proporre nuovi temi di discussione, scrivendoci come di consueto all’indirizzo dedicato la_tribuna@tuttoscuola.com.

 

Capra e cavoli: insegnanti misti iperspecializzati

La legge 107/2015 assegna al Governo la delega sul tema di quella che Ianes chiama “l’evoluzione dell’insegnante di sostegno” e che, coinvolgendo diversi portatori d’interesse, merita una discussione seria e pacata, orientata al superamento argomentato delle obiezioni avverse. Metodo scientifico, in breve. 

Pare del tutto evidente che come gli ospedali sono stati costruiti per i malati, così le scuole sono state costruite per gli studenti e il personale che vi opera deve essere formato e operante non già per soddisfare principi narcisistici di medici ed insegnanti, ma secondo criteri efficienti ed efficaci orientati al risultato. 

Pare altrettanto evidente il fatto che la società odierna sia molto accudente e materna, trascurando spesso la responsabilità e il ruolo della costruzione delle autonomie. Basti pensare agli studenti della scuola primaria che vengono consegnati all’uscita come si fa coi prigionieri, allorquando la mia generazione entrava e usciva da scuola liberamente, proveniendo e tornando a casa con quelli che potremmo chiamare “peditaxi”, perché molto individualizzati, mentre oggi si riesce solo, e raramente, ad organizzare i “pedibus”. In Giappone, tanto per dare un riferimento esterno, i bambini puliscono in terra, aule e corridoi, e sono responsabilizzati nella distribuzione del cibo a mensa.

La diatriba tra quelli che Iosa chiama “Gli scolastici” (pedagogisti e insegnanti bis-abili) e gli “specialisti” (separazione delle carriere, iperspecializzazione sulle patologie) mi sembra mal posta giacché, mai come in questo genere di casi, si tratta di salvare capra e cavoli perché in gioco la posta è alta: l’inclusione degli alunni con disabilità. Al netto del fatto, quindi, che dietro le cattedre miste ci sono sia prospettive pedagogiche che interessi di bottega, così come tra le famiglie si cerca ufficialmente “un punto di riferimento”, che troppo pericolosamente si può trasformare in mero badante, bisogna guardare se la soluzione dell’uno risolve il problema evocato dall’altro, e viceversa.

Il tema della formazione seria, focalizzata sui casi di cui il consiglio di classe si deve fare carico, e generalizzata a tutti i docenti è già formalmente risolto dalla stessa Legge 107 che impone (finalmente) l’obbligo di aggiornamento degli insegnanti. Il tema della continuità è risolto dalla cattedra mista dal fatto che lavorando su un caso, senza dubbio a questo verrà assegnata continuità nel tempo. Cosa manca a tutto questo? A mio parere due cose. Qualcuno che vada a vedere nel concreto quello che succede davvero e che svolga il ruolo di consulente-supervisore, che entri in classe e sveli l’ipocrisia di Piani Educativi Individualizzati gonfi di retorica e poveri di buone pratiche. Diversamente da Ianes, penso che dovrebbe essere qualcuno che abbia solo un distacco parziale perché la creazione di caste in distacco totale è parimenti pericolosa. Mancano poi, specie nella secondaria di secondo grado, docenti specializzati sul sostegno e abilitati su discipline utili alla scuola che li ospita e per questo occorre generalizzare la possibilità di specializzarsi (oggi siamo agli antipodi, col numero chiuso) e concorsi per cattedre miste che assumano non già disperati in code infinite da assorbire, ma competenti su quello che serve davvero. 

In breve, il problema si risolve facilmente con insegnanti misti e iperspecializzati.

Paolo Fasce

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