Tuttoscuola: Il Cantiere della didattica

Boom di razze, lingue e religioni nella scuola italiana

Vent’anni fa erano 6.104, lo 0,06% della popolazione scolastica; dieci anni fa erano 37.478, lo 0,41%.
Quest’anno si prevede che gli alunni con cittadinanza non italiana iscritti nelle scuole statali e paritarie dei diversi ordini e gradi di scuole, saranno circa 280 mila, cioè il 3,23% dell’intera popolazione scolastica.
Tra dieci anni, secondo uno studio del Miur che ha considerato due ipotesi di sviluppo dell’emigrazione nel nostro Paese, gli alunni stranieri potrebbero essere tra i 527 mila e i 658 mila con un’incidenza, rispetto all’intera popolazione scolastica, di oltre il 6%.
Già oggi su quella percentuale vi sono diverse province, interessate da tempo da notevoli flussi migratori, che hanno creato condizioni di stabilità di lavoro e di residenza con presenza diffusa di nuclei familiari.
Prato, dove è largamente presente la comunità cinese, al giugno 2002 faceva registrare già il 6,53% di stranieri, Reggio Emilia il 6,12%, Mantova il 5,91% e Modena il 5,64%.
Alla stessa data il nord-est aveva complessivamente il 4,06% e il nord-ovest il 3,60%, mentre il sud e le isole (zona di passaggio dell’emigrazione, con scarsa stanzialità) registrava meno dello 0,60%.
Dal 1999-2000 la comunità straniera più numerosa in Italia è diventata quella albanese, superando quella marocchina che per tanto tempo era stata la più diffusa nel Paese.
Seguono per quantità di presenze nelle scuole la comunità della ex-Jugoslavia, poi quelle della Cina e della Romania.
La “babele” di lingue, di razze e di religioni che impegneranno ancora più quest’anno i docenti italiani in una delicata opera di integrazione culturale e sociale, è formata da alunni stranieri provenienti da ben 133 stati diversi.
A giorni il Miur dovrebbe rendere noti i nuovi dati sugli alunni stranieri che hanno frequentato nel 2002-2003 le scuole statali e paritarie. Sarà interessante rilevare l’andamento di un fenomeno che, per intensità e velocità di espansione, è diverso dalla situazione di altri Paesi europei nei quali la presenza di stranieri è sì maggiore, ma è stata conseguita con gradualità in un arco di tempo molto più ampio del nostro.

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