Bertagna: la fiera delle occasioni perdute

Non è la prima volta che Giuseppe Bertagna, ordinario di pedagogia all’università di Bergamo e direttore della rivista ‘Nuova Secondaria’, brucia i tempi producendo instant book a ridosso degli eventi di cui parla. Lo ha fatto ai tempi della commissione Brocca per la riforma dei programmi della scuola secondaria, poi nei primi anni Novanta quando si cominciò a parlare di autonomia delle scuole italiane, e successivamente come principale consulente scolastico (non sempre ascoltato) del ministro Moratti. Ora lo ha fatto di nuovo in occasione della pandemia che ha costretto le scuole italiane a sospendere la didattica ordinaria per sei mesi, e che ora le sta di nuovo sottoponendo a dura prova, pubblicando un corposo volume di trecento pagine intitolato “La scuola al tempo del Covid. Tra spazio di esperienza ed orizzonte d’attesa”, edito da Studium Edizioni (Roma, ottobre 2020).

Il libro è diviso in due parti, la prima, retrospettiva, contiene un’analisi aspramente critica verso “l’inettitudine conclamata di una pretesa classe dirigente” ad affrontare sul versante della scuola (ma anche su altri) una catastrofe come quella del Covid; la seconda, propositiva, delinea lo scenario di una scuola radicalmente rinnovata, da costruire non in continuità con quella pre-Covid ma piuttosto sulle sue macerie.

I due capitoli in cui si articola il volume sono comunque preceduti da una densa parte introduttiva, di quasi 100 pagine, che si muove tra riflessione filosofico-pedagogica e ricordi personali legati alle occasioni in cui gli è capitato di essere vicino ai protagonisti di delicate decisioni di politica scolastica. 

Non sempre Bertagna riesce a frenare il suo straripante, quasi bulimico enciclopedismo, che lo induce a svariare tra diversi campi disciplinari e a citare in originale vari testi, da Cicerone a Seneca ai Pink Floyd, per poi utilizzare a sostegno delle sue tesi una gamma fantasmagorica di autori, da Platone a Kierkegaard, da Paolo di Tarso a Habermas, da Aristotele a Foucault, da Leibnitz a Weick, con ripetuti riferimenti a Montaigne e a Rousseau e piccoli flash su Shakespeare, Sartre, Swift, Gramsci e tanti altri. Non mancano neppure papa Francesco e l’Apocalisse di San Giovanni.

Al netto delle riflessioni di carattere teoretico nella parte retrospettiva del libro emerge con chiarezza la vis polemica delle argomentazioni riguardanti le scelte di politica scolastica fatte (e più spesso non fatte) dal governo per fronteggiare il Covid. Bertagna parla di “risibilità” di alcune disposizioni ministeriali come quella dell’agosto 2020 che avendo previsto “alcuni studenti in aula, con il docente, e altri che seguono da remoto, a casa loro, presuppone che i due gruppi di studenti possano ricevere lo stesso trattamento e insegnamento”. Per fortuna, è il suo commento, le scuole “sono ragionevoli e hanno disobbedito”.

La profonda diffidenza verso il centralismo ministeriale emerge in più occasioni, come nella parte del volume nella quale affiora tutta la delusione dell’autore per il mancato accoglimento della proposta, da lui avanzata già alla fine di marzo 2020, di utilizzare i mesi estivi per promuovere all’interno dei locali scolastici una “scholé”, intesa come “laboratorio sperimentale” a libera partecipazione volto a riannodare i rapporti interpersonali e a mantenere vivi gli interessi degli studenti in vista di un nuovo anno scolastico caratterizzato da una nuova didattica, più flessibile e personalizzata.  Niente da fare: “Le vacanze estive, del resto, per l’amministrazione scolastica, sono sempre state un a priori trascendentale kantiano”. Molto si sarebbe potuto fare su vari piani (infrastrutturazione, digitalizzazione, formazione dei docenti) per prepararsi a una scuola inevitabilmente diversa da quella pre-Covid, ma ben poco è stato fatto dal Ministero, paragonato al Marchese del Grillo.

Un’autentica fiera delle occasioni perdute che induce al pessimismo, anche se Bertagna non rinuncia, nella parte propositiva del libro, a tratteggiare il suo progetto di scuola futura, centrato sulla valorizzazione di tutte le diverse individualità, resa possibile da un impiego proattivo e lungimirante delle risorse messe a disposizione da Next Generation EU a sostegno della digitalizzazione completa degli ambienti di apprendimento e delle strutture scolastiche di tutto il Paese. L’autore torna anche a proporre (lo fece anche da consulente del ministro Moratti) la riduzione della scuola da 13 a 12 anni, e poi la personalizzazione degli itinerari formativi, la figura del docente-tutor di piccoli gruppi di studenti accanto ai docenti d’aula e di laboratorio e altre misure riguardanti la formazione iniziale e la carriera dei docenti, tema al quale è dedicato l’Epilogo del volume, intitolato “Apologia dell’‘insegnante’: ma quale?”

Il libro, comunque assolutamente stimolante per il dibattito in corso, è venato del pessimismo di un personaggio vicino ai decisori politici ma che ha visto spesso trascurate le sue proposte. Nella Premessa compare però questa considerazione, che può essere riferita anche al destino della scuola del dopo-Covid, e che apre uno spiraglio di luce nella coltre del pessimismo, e che vogliamo qui proporre ai lettori a conclusione della presentazione del volume: “La storia ci ha insegnato, tuttavia, che vive di eventi inattesi, di scarti e di mosse del cavallo originali, nuove, creative. E che la fine del mondo, dal punto di vista della storia, non è mai tale, ma solo la fine di un mondo, quello che conosciamo. Per farne nascere un altro. Ciò che il bruco, infatti, chiama ‘fine del mondo’, il nuovo mondo lo chiama farfalla”.