Bertagna e le prove Invalsi: una precisazione

Le news di Tuttoscuola mi gratificano di una citazione. Mi auguro serva ad introdurre un franco dialogo sulla valutazione degli apprendimenti e su quella di sistema. Scrivono che, «secondo Bertagna le “competenze” che contano sono solo quelle “personali”, che non possono essere valutate da lontano, sulla base di impersonali, fredde prove oggettive, ma soltanto da vicino, e da parte degli stessi insegnanti che hanno trasformato le astratte conoscenze e abilità contenute nelle “Indicazioni nazionali” in concreti obiettivi formativi e in piani di studio personalizzati. Ma in questo modo i due piani sembrano destinati a non incontrarsi mai...».

A dire il vero, non nel mio articolo apparso sul mensile “Tuttoscuola”, di cui la news costituisce una parziale sintesi, ma nel libro che ho scritto sul tema lo scorso anno (Valutare tutti, valutare ciascuno, La Scuola, Brescia 2004), mi pare di aver offerto anche più di qualche idea operativa al fine di trasformare i due piani paralleli in due piani invece virtuosamente convergenti ed integrabili. Il punto di snodo di questo incontro è, a mio avviso, costituito da due condizioni preliminari: a) che i docenti accompagnino sempre gli obiettivi formativi con i relativi standard di prestazione (così, peraltro, come è richiesto dalle Indicazioni nazionali), e che dunque la scuola non trovi più alcun alibi alla mancata rendicontazione degli apprendimenti effettivamente promossi (non è vero che l’impresa educativa sia ineffabile); b) che l’Invalsi individui un campione di scuole rappresentativo a livello nazionale, da monitorare nel tempo, con cui interloquire in maniera sistematica e da cui ricavare informazioni sugli standard di prestazione effettivamente raggiunti dai ragazzi nelle diverse unità di apprendimento predisposte dai docenti sulla base degli obiettivi specifici di apprendimento presentati nelle Indicazioni nazionali; all’Invalsi sarà più facile, e anche corretto, poi, a partire da questi standard reali, ricavare prove nazionali universali sulle conoscenze e abilità con standard di prestazione attesi che non siano né troppo bassi, né troppo alti rispetto alla media del campione, ma opportuni (docimologicamente alzati al 75° percentile); l’analisi critica dei risultati delle prove sugli apprendimenti, comparata con quella che scaturirà dalle indagini sulla valutazione di sistema che compete sempre allo stesso Istituto, potrà, infine, permettere a tutti, alle scuole e alla politica, di comprendere se si sta camminando verso la qualità del sistema di istruzione e di formazione o verso la sua dequalificazione, e perché.

Una seconda osservazione alla news di Tuttoscuola. L’estensore, a commento della posizione che mi ha attribuito, scrive: «Va dato atto a Giuseppe Bertagna di aver sempre molto insistito, fin dai tempi della commissione De Mauro, sul carattere individuale e soggettivo (nel senso di personale, personalizzato) della “competenza”. E’ anche vero, però, che le prove dell’INVALSI, come quelle che si somministrano in molti altri Paesi, sollecitano prestazioni, hanno a che fare cioè con l’uso operativo delle conoscenze e delle abilità, e quindi con le “competenze” individuali degli allievi che le sostengono».
Non vorrei sfuggisse, in questa posizione, una conclusione che eccede le premesse da cui parte. E’ senza dubbio vero che le prove dell’Invalsi, come quelle che si somministrano in altri paesi «hanno a che fare con l’uso operativo delle conoscenze e delle abilità, e quindi con le “competenze” individuali degli allievi che le sostengono»: ma, anche ammesso che questo ‘quindi’ sia logicamente e scientificamente legittimo, e non una sbrigativa semplificazione che equipara abilità e competenze, proprio per questo prove come quelle Invalsi valutano fino in fondo, a parte le conoscenze e le abilità oggettivamente possedute dai ragazzi, solo la competenza dei ragazzi stessi ad affrontarle, nelle condizioni artificiali date. Tali prove, infatti, per quanto ben fatte, non valutano affatto la competenza degli studenti ad affrontare compiti, problemi, progetti reali della vita personale, familiare, sociale e scolastica, adoperando come si deve, appunto in modo personale, maturo, le conoscenze e le abilità apprese e di cui hanno magari dato prova di possesso nelle prove stesse.

Per questo insisto nel sostenere che le competenze personali di un ragazzo, come di chiunque, per essere davvero valutate senza astrazioni e superficialità, e per non essere ridotte ad abilità, hanno bisogno di tempi lunghi, di osservazioni plurime e diacroniche da parte dei docenti e di analisi che coinvolgano, oltre che il ragazzo stesso, anche la famiglia e altri attori sociali significativi. Hanno bisogno, appunto, di un Portfolio ben costruito e di una certificazione che si fa sugli anni, non sui mesi o, peggio ancora, sulle ore. In due ore, infatti, l’Invalsi può anche predisporre le prove più affidabili possibili, ma mi pare pretenzioso ricavare da esse una valutazione autentica della competenza personale di chiunque, salvo che, come già detto, che sia la competenza personale di affrontare con successo prove standard preparate da organismi esterni alla scuola, una volta all’anno, in condizioni di stress da prova e, speriamo, con una sorveglianza adeguata ed onesta per non taroccare le risposte.
Ma, per riprendere la metafora dei pompieri, non è detto che chi è competente nell’affrontare le prove ai corsi e nelle esercitazioni, sebbene ben costruite da enti esterni alla scuola, lo sia anche nello spegnere un incendio reale: sono due competenze diverse, e la seconda non si può valutare, e certificare, allo stesso modo della prima.

Giuseppe Bertagna


Tuttoscuola aveva scritto (tuttoscuola.com del 16 luglio 2005):

Bertagna/1. L’INVALSI è in-competente?
La competenza dei pompieri, dice Bertagna in un articolo pubblicato su “Tuttoscuola” di giugno, può essere valutata solo in situazione, nel momento in cui dimostrano di essere capaci di spegnere l’incendio. Prima non può essere valutata, e a poco serve sapere quali e quante sono le loro conoscenze e le loro teoriche abilità.
La metafora serve a Bertagna per lanciare un attacco all’INVALSI il quale, “infischiandosene di queste distinzioni, peraltro presenti in maniera non equivoca nelle norme, ha mandato in giro in tutte le scuole prove che hanno preteso, ambiziosamente, di ‘valutare le conoscenze e competenze’ degli allievi. In due ore di prova, insomma, l’INVALSI ha rivendicato la competenza, beato lui, di capire e di distinguere i pompieri affidabili da quelli inaffidabili, e di dare giudizi al Paese sul loro grado di conoscenze-competenze!”.
La querelle sembrerebbe di scuola bizantina, perché in sostanza l’INVALSI chiama “competenze” quelle che Bertagna chiama “abilità”, cioè la capacità di affrontare e risolvere problemi, di effettuare prestazioni di un certo tipo a un certo livello.
Secondo Bertagna però le “competenze” che contano sono solo quelle “personali”, che non possono essere valutate da lontano, sulla base di impersonali, fredde prove oggettive, ma soltanto da vicino, e da parte degli stessi insegnanti che hanno trasformato le astratte conoscenze e abilità contenute nelle “Indicazioni nazionali” in concreti obiettivi formativi e in piani di studio personalizzati. Ma in questo modo i due piani sembrano destinati a non incontrarsi mai…

 

Bertagna/2. Ma le prove non saggiano competenze?
Va dato atto a Giuseppe Bertagna di aver sempre molto insistito, fin dai tempi della commissione De Mauro, sul carattere individuale e soggettivo (nel senso di personale, personalizzato) della “competenza”.
E’ anche vero, però, che le prove dell’INVALSI, come quelle che si somministrano in molti altri Paesi, sollecitano prestazioni, hanno a che fare cioè con l’uso operativo delle conoscenze e delle abilità, e quindi con le “competenze” individuali degli allievi che le sostengono. Il vero problema sembrerebbe piuttosto quello di far convergere nella misura del possibile, e comunque per le competenze chiave (le key competences di cui si parla in Europa), l’esito delle prove personalizzate in situazione con quello delle prove oggettive. Partendo dall’assunto che in entrambi i casi si tratta di prestazioni individuali, e che queste ultime costituiscono la manifestazione concreta della competenza personale.
Da questo punto di vista, per esempio, sarebbe opportuno individuare punti di collegamento e di verifica incrociata tra gli esami conclusivi dei due cicli, gestiti dagli insegnanti (esami “interni”), e le prove “predisposte e gestite dall’INVALSI” di cui parla la legge n. 53/2003 (chiamiamoli pure esami “esterni”). Sarebbe un peccato rinunciare a procedere in questa direzione magari per difendere una accezione del concetto di “competenza” che rischia – essa sì – di essere “personale”.