Berlusconi/3. La rivoluzione scolastica annunciata è rimasta uno slogan

Tra le rivoluzioni annunciate da Berlusconi nella piattaforma elettorale che permise alla coalizione di centro-destra di stravincere le elezioni del 2001 c’era anche quella della scuola, affidata alla manager Letizia Moratti. Ma lo scenario di radicale modernizzazione dell’intero sistema scolastico evocato nello slogan propagandistico delle “tre i” (internet, inglese, impresa) rimase totalmente sulla carta perché la riforma Moratti (legge n. 53/2003) non andò affatto in quella direzione, limitandosi di fatto a procrastinare i vecchi ordinamenti, oltre a introdurre la figura del tutor e l’alternanza scuola-lavoro: cambiò solo l’etichetta degli istituti tecnici, ribattezzati “licei”, mentre l’istruzione professionale fu lasciata andare alle deriva in una terra di nessuno, tra residue competenze statali e nuove competenze regionali discendenti dall’attuazione della riforma costituzionale del titolo V (legge cost. n. 3/2001), voluta dal centro-sinistra ma poi gestita dal centro-destra.

Anche l’idea, potenzialmente rivoluzionaria, di due aree quadriennali di effettiva pari dignità e consistenza (quella liceale e quella tecnico-professionale con sbocco in una fascia di istruzione superiore non accademica), affacciatasi all’inizio della legislatura, fu vanificata dalla difesa a oltranza della quinquennalità del liceo classico e del radicamento statale degli istituti tecnici, oltre che della loro quinquennalità.

Assai meno innovativa si presentò, nel 2008, la politica scolastica del quarto governo Berlusconi, fortemente condizionata dalla crisi economico-finanziaria esplosa quell’anno, ma che comunque prometteva una radicale semplificazione e razionalizzazione dell’offerta formativa, il ritorno ai voti numerici e il ripristino dell’ordine e della serietà degli studi per venire incontro – si sosteneva – alla domanda delle famiglie,  ma poi risoltasi in un indiscriminato taglio orizzontale delle risorse.

Entrambe le ministre scelte da Berlusconi finirono insomma di fatto per dare continuità al sistema scolastico tradizionale: Moratti per la mancata modernizzazione e riassetto “duale” dell’istruzione secondaria e Gelmini per una sostanziale politica della lesina condita con formali appelli meritocratici.

Nella politica scolastica, come peraltro anche in altri campi, a partire da quello fiscale, Berlusconi e il berlusconismo hanno così dimostrato di essere soprattutto poderose macchine del consenso, capaci di suscitare aspettative e di vincere le elezioni, ma non di governare il cambiamento in modo strategico e innovativo. Se il destra-centro postberlusconiano, oggi alla prova del governo, vorrà davvero spezzare l’incantesimo di un riformismo solo annunciato, ma che ha lasciato la scuola esattamente come prima, dovrà cambiare strada. Vorrà farlo il governo postberlusconiano Meloni? Saprà farlo il ministro Valditara?

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