Berlinguer, Gelmini e Fedeli, tre ministri a confronto sul futuro della scuola

Un recente libro scritto a più mani e curato da Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, ha offerto a tre ministri dell’istruzione (Berlinguer, Gelmini e Fedeli) l’occasione per un confronto, svoltosi il 28 febbraio presso la sala Aldo Moro della Camera, su come “Far crescere la persona”, che è titolo del saggio curato da Vittadini e pubblicato dalla stessa Fondazione.

La tesi centrale del volume, il cui sottotitolo è “La scuola di fronte al mondo che cambia”, è che le politiche scolastiche tradizionali, di cui sono stati interpreti i ministri che si sono alternati negli ultimi 20 anni (tre dei quali presenti all’incontro), fondate sulla riforma degli ordinamenti, sono totalmente inadeguate ad affrontare le esigenze formative della società contemporanea, il cui mondo del lavoro richiede già da ora – e lo farà sempre di più in futuro – non tanto competenze tecniche quanto qualità personali e ‘non cognitive skills’ come flessibilità, creatività, capacità di interagire e cooperare, attitudine al problem solving e all’apprendimento continuo.

Tutte qualità che il tradizionale e tuttora imperante assetto disciplinaristico dei piani di studio della nostra scuola non è in grado di sviluppare tra studenti ormai quasi tutti nativi digitali, abituati alla multimedialità e, fuori della scuola, alle modalità social e reticolari dell’apprendimento non formale.

Su questa idea, e sulla necessità di puntare, più che sulle competenze tecniche legate alle discipline (che però, hanno osservato sia Gelmini che Fedeli frenando un po’, restano importanti), sul consolidamento del ‘character degli studenti, inteso come saldo possesso delle citate non cognitive skills, si è verificata una sostanziale convergenza sia tra i coautori del libro sia tra i partecipanti all’incontro.

Berlinguer, in particolare, ha insistito sulla necessità di “reiventare la scuola”, perché quella attuale “non serve allo sviluppo della società”, e in questo è stato forse il più aperto alla tesi sostenuta da Vittadini (e da Onorato Grassi nel suo contributo che apre il volume) che la crescita della persona, del character di tutte le persone, senza “scarti”, come direbbe papa Francesco, è nell’attuale temperie più ‘strategica’ di una formazione che privilegi le tradizionali conoscenze e competenze.

Più cauta, ma disponibile a una convergenza culturale, prima ancora che politica, sulla necessità di un cambio di paradigma che privilegi la dimensione della educazione rispetto ma quella della sola istruzione dei giovani, si è dichiarata Mariastella Gelmini, che ha detto di condividere l’affermazione “antigentiliana” di Berlinguer che la scuola debba educare tutti, e non limitarsi a selezionare “i migliori”.

Sullo sfondo, ma ben presente, è rimasta la questione della libertà di scelta tra le scuole, questione che potrebbe essere superata in radice se la strategia condivisa fosse quella di puntare su una coraggiosa e compiuta autonomia delle scuole: di tutte le scuole, statali e paritarie, dove si fa educazione innovativa per tutti gli studenti, a partire dalle loro esigenze e da quelle della società in rapido cambiamento.

Non a caso, crediamo, la ministra Fedeli ha detto di voler “ripartire dall’articolo 3 della Costituzione”, quello che enuncia il principio di uguaglianza in senso sostanziale di tutti i cittadini, garantito da un ruolo attivo della Repubblica (“La Repubblica rimuove gli ostacoli…”), e non ha citato l’articolo 33, (“La Repubblica istituisce scuole statali…”), votato dalla Costituente a maggioranza, che ha di fatto determinato una storica distinzione di trattamento tra gli studenti delle scuole statali e quelli delle scuole non statali, che neppure la legge sulla parità di Berlinguer (n. 62/2000) ha potuto superare (non avendo superato, a giudizio di chi scrive, l’eco delle guerre ideologiche del Novecento).

Ora forse il clima è cambiato. Ripartire dall’articolo 3 e dal suo impianto universalistico potrebbe essere una buona base per riprogettare e ri-costruire il sistema educativo in funzione delle esigenze degli studenti, e non di quelle del personale della scuola e dell’apparato amministrativo.

Essere pessimisti in materia è quasi un obbligo, visti i precedenti e le incertezze del quadro politico e istituzionale italiano. Ma occorre anche sapere che o la scuola si mette in sintonia con “il mondo che cambia”, per dirla con il sottotitolo di questo libro-appello curato da Vittadini, o è destinata ad essere progressivamente marginalizzata, fino a quando qualcuno si chiederà se serve ancora.