Autonomia differenziata/1. Un intricato nodo politico
Con il successo del Centro-destra – che l’esito delle elezioni ha però trasformato in Destra-centro – si è rimaterializzato il fantasma della autonomia differenziata. Evocato per la prima volta nel lontano 2001 dalla riforma del titolo V della Costituzione voluta dal Centro-sinistra (governi Prodi 1, D’Alema e Amato) il fantasma si è per un po’ eclissato, vagando nelle nebbie della politica italiana in cerca di un nuovo sponsor, che ha trovato in uno dei partiti dello schieramento opposto, la Lega adesso di Salvini, ma erede di quella “Lega Nord per l’indipendenza della Padania” che Umberto Bossi aveva fondato nel 1991 rivendicando una radicale autonomia da Roma delle Regioni del Nord, al limite della secessione.
Per la verità la Lega, come componente del governo di Centro-destra a guida Berlusconi (2001-2006), aveva ottenuto di inserire la tematica dell’autonomia regionale nella riforma costituzionale approvata dal Parlamento del 2006, ma quella riforma era stata poi bocciata nel successivo referendum confermativo. L’istanza autonomista nelle Regioni del Nord era tuttavia forte e trasversale, tanto da essere condivisa anche da una Regione come l’Emilia-Romagna, governata dalla sinistra, e non mancarono i tentativi di dare una risposta a tale istanza da parte dei governi Renzi e soprattutto Gentiloni.
Il fantasma si è di nuovo nascosto nella caotica XVIII legislatura, che pure ha visto la Lega partecipare a due dei tre governi avvicendatisi, ma si è ora rimaterializzato, come si accennava in apertura, perché la Lega, co-vincitrice delle elezioni del 25 settembre 2022, lo sta utilizzando per rivendicare e rendere visibile il proprio spazio all’interno del governo Meloni, dominato da Fratelli d’Italia. Per questo nella riunione svoltasi lo scorso 18 gennaio fra Giorgia Meloni, i vicepresidenti Salvini e Tajani e altri ministri, si è deciso di inserire in uno dei prossimi Consigli dei ministri (forse ai primi di febbraio) l’approvazione preliminare del disegno di legge a firma di Roberto Calderoli (Lega) sull’autonomia differenziata, come informa una nota di Palazzo Chigi.
Vedremo. L’opposizione, i sindacati della scuola e alcune Regioni del Sud annunciano barricate. Il governatore della Campania De Luca (Pd) ha annunciato una manifestazione sulle autonomie scolastiche “in difesa della scuola pubblica”, che il candidato di Pd e M5s alle elezioni regionali in Lombardia, Pierfrancesco Majorino considera sotto “attacco”. Dal centrodestra risponde Fabrizio Sala, Deputato di Forza Italia ed ex assessore all’Istruzione di Regione Lombardia: “La scuola è una e unica in tutta Italia e così rimarrà. Non è che con l’autonomia avremo ordinamenti con materie regionali, non avremo il corso di milanese o il lombardo al posto dell’italiano (…). Con l’autonomia non togliamo soldi a nessuna Regione e non diamo meno soldi allo Stato centrale. Semplicemente chiediamo che le Regioni possano gestire in autonomia, appunto, le risorse che lo Stato destina loro in alcuni settori. Questo senza chiedere un euro in più”.
Ma anche all’interno della coalizione esistono visioni contrastanti in materia istituzionale, perché al regionalismo della Lega fa riscontro il presidenzialismo di Fratelli d’Italia. Come conciliare due linee che sembrano andare in direzioni opposte, centralizzazione contro decentramento? Con quali conseguenze per i sistemi scolastici? Uno sguardo oltre confine forse può aiutarci: non a risolvere il problema importando modelli (ogni Paese ha la sua storia) ma almeno a riflettere.
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