Autonomia differenziata del sistema Istruzione, Turi: ‘Ecco le mie perplessità’

L’autonomia differenziata del sistema d’istruzione creerebbe ulteriori divisioni, disparità e ingiustizie. Le maggiori perplessità sulle forme di finanziamento, essenziali all’esercizio delle competenze che verrebbero trasferite, Pino Turi, Segretario generale Uil Scuola, le ha fatte presente in un’intervista a Tuttoscuola pubblicata all’interno del numero di aprile.

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Professore Turi la UIL Scuola rua, a proposito di autonomia differenziata, ha espresso forti preoccupazioni di ordine sindacale e culturale. Ce le spieghi.

«Per rispondere alla domanda (senza pregiudizi) sarebbe prioritariamente il caso di chiedersi a chi giova l’autonomia differenziata. Sicuramente non agli alunni e ai docenti che non trarrebbero alcun vantaggio dalla parcellizzazione, quanto piuttosto al- le Regioni. Il pericolo che noi intravediamo, possibile e reale in prospettiva, è l’imposizione da parte delle Regioni di un controllo, non amministrativo, come dicono, ma politico, su un settore delicato qual è il sistema di istruzione. Se a questo si aggiunge la rivendicazione di voler disporre di un’ingente quantità di risorse finanziarie da utilizzare per questo scopo, il quadro si colora a tinte fosche. Ci sono persino regioni (es: Veneto, Lombardia) che vorrebbero agire apertamente anche negli aspetti più eminentemente didattico–metodologici. Non ultima, la nostra preoccupazione è legata alla libertà e ai diritti: storicamente, avere il controllo della Scuola è sempre stato il desiderio recondito di ogni dittatura, creare consenso a partire dalla scuola. A pensar male si commette peccato… Meglio, in ogni caso, rispedire la proposta al mittente. A nostro giudizio, non c’è il clima giusto nel Paese per discutere di riforme di questa portata».

Per il settore istruzione e istruzione e formazione professionale cosa c’è davvero da temere?

«Come dicevo, il sistema scolastico nazionale garantisce principalmente l’unità culturale della nazione che di solito, come è accaduto anche nel nostro Paese, ha anticipato l’unità politica e quella istituzionale. Nel settore integrato di istruzione e formazione professionale non abbiamo notato grandi risultati. Si pensi solo al divario tra domanda ed offerta di lavoro, il c.d. mismatch (brutto termine che gli inglesi usano per indicare la mancata corrispondenza) per cui circa 60 mila posti di lavoro non sono occupati per mancanza di professionalità adeguate. Del resto, basta vedere come le regioni hanno gestito la competenza esclusiva della Formazione Professionale per rendersi conto del pericolo che si corre se si operano scelte senza una chiara visione prospettica, sottratta alle fluttuazioni della politica. Come dimenticare, poi, gli scandali che hanno travolto il sistema della formazione in molte regioni, gli esempi, purtroppo, non mancano. Mentre per la TAV si procede a infinite verifiche costi-benefici, per la scuola si fa un passo nel buio per vedere l’effetto che fa».

Quali sarebbero gli effetti? In particolare sul personale, sugli organici, sulla mobilità, sul salario, perché qualche riflesso lo avrà anche sulla contrattazione.

«Un primo effetto diretto sarebbe quello sulla tenuta della democrazia di questo Paese. Si completerebbe, poi, anche sul piano sindacale, la rottura dell’unità nazionale: organici regionali, stipendi regionali e personale dipendente dalle regioni, sarebbero di fatto un condizionamento molto forte per un settore che deve avere margini di libertà e di partecipazione. Troppo alto il rischio, di operare quel controllo politico a cui facevo riferimento prima. Quanto alla mobilità, sarebbe di fatto compressa nell’ambito più ristretto della regione. Questa non è una cosa buona, significa che non ci sarebbe quella mobilità che ha con- sentito, dando spazio alle diversità, di formare quella coscienza nazionale che si è consolidata nel sistema scolastico, che è stato inclusivo e che ha garantito la laicità dell’istituzione. La scuola deve essere una terrazza affacciata sul mondo, non una finestra socchiusa sul cortile di casa. In un momento in cui una delle strategie più in voga nel mondo della produzione è quella di rendere flessibile l’uso del personale, così facendo, si va nella direzione opposta. Come accade nella sanità dove un lavoratore, medico, infermiere, se si vuole spostare in altra regione o provincia non ha il diritto a farlo. Può proporre un’istanza di mobilità che verrà posta al vaglio delle direzioni generali e, quindi, della politica».

Influirà anche sui diritti sociali?

«Se si va sulla strada della differenziazione, è logico pensare che anche i diritti saranno diversificati. La garanzia dell’unità la può dare solo la dimensione nazionale che comprende anche e soprattutto quel- la istituzionale che è garantita dal Parlamento. Il Parlamento elegge il Governo e il Presidente del Consiglio e su sua proposta i ministri. In questo modo la politica scolastica è unitaria e vi è la certezza della sua realizzazione attraverso le scuole dello Stato. Con il regionalismo ciò viene meno anche per la mancanza di pesi e contrappesi istituzionali che mancano nel sistema, seppur elettivo, delle Regioni. Si darebbe a un Governatore un potere più ampio di quello che viene affidato allo stesso ministro».

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