Gli alunni e i chatbot dell’Intelligenza Artificiale. Una sfida educativa per la tutela e la consapevolezza

Negli ultimi anni l’intelligenza artificiale è entrata nelle scuole con la promessa di rendere più efficiente la didattica e di personalizzare lo studio. La sua diffusione si è però intrecciata con trasformazioni sociali profonde che riguardano l’identità dei più giovani e il loro modo di cercare sostegno. La disponibilità continua di dispositivi mobili, l’abitudine a conversare in ambienti digitali e la facilità con cui i sistemi generativi imitano il linguaggio umano hanno reso i chatbot interlocutori percepiti come prossimi e rassicuranti. La linea che separa lo strumento dalla relazione si è assottigliata, aprendo nuovi spazi di interazione che chiedono agli adulti di interrogarsi sulla qualità educativa di tali scambi.

La dimensione relazionale adolescenziale vive di sperimentazione e di ricerca di appartenenza. In questa fase evolutiva i ragazzi provano forme di autoesplorazione che richiedono tempo, attenzione e risposte non stereotipate. Un sistema conversazionale può offrire immediatezza e coerenza linguistica, ma non può sostituire la presenza di un adulto capace di interpretare silenzi, esitazioni e contraddizioni. Molti studenti raccontano di trovare nei chatbot una presenza sempre disponibile, soprattutto nelle ore serali, quando emergono ansia e insicurezza. Il rischio è che la richiesta di aiuto si sposti dalla rete reale delle relazioni significative verso interlocutori che non sono in grado di prendersi carico del benessere della persona.

L’illusione dell’empatia artificiale

I modelli linguistici apprendono regolarità statistiche e producono risposte che imitano empatia e calore. Questa capacità di rispecchiamento fa percepire la conversazione come autentica, ma si tratta di un realismo simulato che non implica comprensione profonda. L’empatia umana è un processo dinamico che integra elementi cognitivi, affettivi e corporei. Richiede la lettura del contesto, la memoria delle interazioni, la responsabilità morale della risposta. L’IA conversazionale non possiede consapevolezza né intenzionalità e non può assumere la responsabilità di un intervento educativo o terapeutico.

Nei contesti scolastici l’illusione empatica può generare dipendenze sottili. Lo studente che riceve frasi di conforto formalmente corrette può credere di essere compreso, ma in realtà viene esposto a una forma di specchio linguistico che non restituisce la complessità della sua esperienza. La confusione tra reattività del sistema e sintonizzazione emotiva porta a sopravvalutare il valore di risposte fluenti, mentre si sottovaluta l’importanza dell’ascolto umano che sa riformulare, fare domande lente, creare pause e accogliere le ambivalenze.

I rischi per la salvaguardia

Il primo rischio riguarda lo slittamento della richiesta di aiuto. Quando un adolescente vive momenti di angoscia o pensa di farsi del male, la differenza tra un interlocutore umano e un chatbot è determinante. L’adulto può attivare procedure di protezione, coinvolgere figure di riferimento, contattare servizi competenti. Il sistema conversazionale può solo generare testo e, a seconda della sua configurazione, non sempre riconosce indicatori di pericolo. La percezione di essere al sicuro viene così tradita da un dispositivo che non può attuare una presa in carico reale.

Un secondo rischio riguarda la privacy e la gestione dei dati. I ragazzi tendono a percepire la chat come uno spazio intimo, ma la comunicazione con sistemi generativi può essere soggetta a registrazione e uso per addestramento. Questo fraintendimento espone a vulnerabilità indesiderate, soprattutto quando nelle conversazioni emergono informazioni sensibili sulla salute mentale, sui conflitti familiari o su situazioni di rischio. Vi è poi un rischio educativo più sottile, legato alla costruzione dell’identità. Affidarsi a un interlocutore che risponde sempre in modo coerente può ridurre la tolleranza alla frustrazione e la capacità di negoziare divergenze e conflitti tipici delle relazioni reali.

I segnali di allarme nelle scuole

La scuola può intercettare precocemente mutamenti nel linguaggio e nei comportamenti che suggeriscono un affidamento eccessivo ai chatbot. Osservazioni attente rivelano studenti che raccontano esperienze intime riferendosi a un sistema conversazionale come a un amico, oppure che mostrano improvvisi cambiamenti di stile espressivo con periodi iperformali seguiti da risposte stereotipate e ripetitive. Talvolta si nota una diminuzione del ricorso all’adulto di riferimento e un ritiro dai pari unito a un uso serale prolungato del dispositivo, con conseguenze sul sonno, sull’attenzione in classe e sul rendimento scolastico. Non raramente questi comportamenti si accompagnano a difficoltà relazionali, calo della motivazione e maggiore irritabilità, segni che dovrebbero allertare chi si occupa della tutela dei minori.

Questi indizi non costituiscono prove di danno, ma richiedono un’osservazione sistematica, continua e condivisa. È fondamentale che la lettura avvenga in modo triangolato tra docenti, famiglie e studenti stessi, affinché emerga un quadro più chiaro e non si cada in facili etichettature. La costruzione di un clima di fiducia, sostenuto da ascolto empatico e da tempi dedicati al confronto, permette di trasformare i segnali in occasioni di dialogo. Quando i ragazzi percepiscono che la scuola non giudica ma accoglie, sono più disposti a raccontare come usano la tecnologia, a condividere dubbi o fragilità e a ripensare insieme confini ed aspettative. In questo processo la presenza di figure professionali come psicologi scolastici e tutor digitali può rafforzare la capacità della scuola di interpretare correttamente i segnali e di accompagnare i giovani verso un uso equilibrato dell’intelligenza artificiale.

La responsabilità educativa

Contrastare i rischi non significa demonizzare l’innovazione o cedere alla tentazione di escludere la tecnologia dalle aule. Significa, invece, progettare contesti intenzionali che abilitano un uso maturo e consapevole dell’intelligenza artificiale, valorizzando i suoi punti di forza e riconoscendone al contempo i limiti. Le istituzioni scolastiche possono integrare l’IA nei propri regolamenti sulla sicurezza digitale e sulla tutela del minore, definendo ruoli chiari, processi di segnalazione rapidi e criteri trasparenti per la scelta degli strumenti. Questo lavoro richiede non solo norme, ma anche cultura organizzativa.

La formazione del personale rimane decisiva. Insegnanti e referenti per la tutela devono conoscere i meccanismi dei sistemi generativi, comprenderne i modelli di funzionamento e acquisire competenze per distinguere tra simulazioni linguistiche e autentiche espressioni emotive. Devono, inoltre, essere in grado di riconoscere frasi e pattern che indicano stati emotivi critici, così da attivare con tempestività e competenza le procedure di supporto. Una preparazione di questo tipo favorisce la costruzione di una comunità educativa resiliente, capace di affrontare le nuove sfide senza lasciarsi sorprendere.

La scuola può, inoltre promuovere un’alleanza educativa forte con le famiglie. Incontri periodici dedicati all’uso quotidiano dell’IA, esempi concreti di dialoghi con i chatbot e simulazioni di scenari realistici consentono di costruire un linguaggio comune e di condividere aspettative realistiche. È importante che i genitori comprendano come queste tecnologie funzionano e quali sono i rischi di affidare loro bisogni affettivi profondi. Nei contesti in cui si adottano piattaforme conversazionali per attività didattiche diventa, quindi, utile rendere espliciti avvisi e limiti, chiarendo che tali strumenti non sostituiscono in alcun modo il docente, non forniscono consulenza psicologica e non possono assolvere funzioni educative legate alla cura emotiva degli studenti.

Linee guida per un uso consapevole dell’IA

Le principali raccomandazioni nazionali e internazionali convergono su alcuni principi che la scuola può tradurre in pratiche. Trasparenza e tracciabilità del funzionamento degli strumenti, centralità dell’essere umano nelle decisioni, attenzione all’età e alla maturità degli studenti, protezione dei dati e minimizzazione delle informazioni personali condivise. L’alfabetizzazione algoritmica diventa parte integrante della cittadinanza digitale. Gli studenti imparano a interrogare le risposte dell’IA, a cercare riscontri su più fonti, a riconoscere bias e stereotipi che possono emergere anche quando il testo appare neutro.

La progettazione didattica può includere attività di laboratorio in cui si confrontano risposte generate e testi di riferimento, si analizzano errori plausibili e si costruiscono rubriche per valutare attendibilità e pertinenza. Questo lavoro non allena soltanto alla verifica delle informazioni, ma educa alla postura riflessiva, al dubbio motivato e alla responsabilità della parola. Nella fase di valutazione è utile rendere esplicite le regole d’uso degli strumenti generativi, chiarendo quando l’IA può essere un supporto e quando è richiesto un lavoro autentico.

Le scuole italiane possono trovare un punto di riferimento nelle Linee guida per l’introduzione dell’Intelligenza Artificiale nelle Istituzioni scolastiche, allegate al Decreto del Ministero dell’Istruzione e del Merito n. 166 del 9 agosto 2025, nonché nel quadro normativo europeo in via di attuazione. Entrambi i documenti richiamano l’attenzione sulla necessità di presidi organizzativi solidi, di percorsi di formazione continua per il personale e di una particolare tutela dei minori. Questo impianto normativo offre alle istituzioni scolastiche la possibilità di elaborare Regolamenti d’Istituto coerenti con i diritti degli studenti e con le responsabilità dell’educazione, favorendo un uso dell’Intelligenza Artificiale che sia responsabile e consapevole, senza mai confondere la dimensione tecnologica con la cura educativa che resta insostituibile.

Una nuova frontiera della tutela

La tutela nell’era dell’IA richiede uno sguardo sistemico. Non basta aggiornare un regolamento, occorre ripensare l’idea stessa di benessere scolastico. Le competenze sociali ed emotive devono essere coltivate intenzionalmente. L’IA può diventare un pretesto per rafforzare la cultura dell’ascolto, per incrementare i momenti di confronto tra pari, per creare spazi sicuri in cui i ragazzi possano esprimere fragilità e paure. La tecnologia non viene esclusa, ma ricondotta all’interno di un progetto educativo che mette al centro la relazione e la presenza.

Quando la scuola promuove appartenenza e fiducia, i chatbot perdono il fascino della sostituzione e recuperano la loro funzione di strumenti. I ragazzi imparano che una risposta veloce non è sempre una risposta buona e che la pazienza dell’ascolto reciproco è una competenza che si costruisce. In questo cammino la collaborazione con i servizi territoriali, con gli psicologi scolastici e con le associazioni che si occupano di benessere psicologico legato al digitale offre risorse preziose e consolida una rete di protezione.

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