Alternanza dimezzata: chi se ne duole e chi festeggia la sconfitta del ‘capitale disumano’

In materia di alternanza scuola-lavoro il ‘contratto’ fondativo dell’attuale maggioranza di governo lamentava che “quello che avrebbe dovuto rappresentare un efficace strumento di formazione dello studente si è presto trasformato in un sistema inefficace, con studenti impegnati in attività che nulla hanno a che fare con l’apprendimento” e asseriva che “Uno strumento così delicato che non preveda alcun controllo né sulla qualità delle attività svolte, né sull’attitudine che queste hanno con il ciclo di studi dello studente, non può che considerarsi dannoso”.

Non c’era dunque un rifiuto di principio dell’ASL, ma una critica della sua disconnessione con il tipo di studi intrapresi dallo studente, unita alla mancanza di controlli sulle attività svolte. Il ministro Bussetti ha ritenuto di rendere operativa questa indicazione dimezzando le ore previste dalla Buona Scuola per gli istituti tecnici (da 400 a 150 ore per gli istituti tecnici e a 180 per i professionali; da 200 a 90 ore per i licei), anche se ha utilizzato la formula della “durata non inferiore a…”, che ammette in teoria anche periodi di ASL più lunghi, ma a spese delle stesse scuole, visto che il finanziamento previsto dalla legge 107/2015 per l’alternanza è stato più che dimezzato. 

Così ridimensionata l’ASL rischia di perdere il suo carattere di ponte tra apprendimento teorico ed esperienza pratica, di circolarità tra attività di studio e prima acculturazione lavorativa, e di questo si sono lamentate le associazioni dei datori di lavoro, che vedono svanire l’occasione di pre-orientare masse importanti di giovani verso atteggiamenti più positivi nei confronti del lavoro, e anche l’ANP, il cui presidente Antonello Giannelli ha sottolineato, in occasione del suo intervento a‘Job&Orienta’ (Verona, 30 novembre), il successo di molte delle esperienze realizzate (tra le quali segnaliamo anche quelle promosse da Tuttoscuola con Civicamente e IUL/Indire alle quali hanno partecipato con soddisfazione dei docenti e degli studenti migliaia di giovani, visibili sul sito www.tuttoalternanza.it) e di un “progetto formativo che consente di entrare in contatto con il principio fondante della nostra Costituzione che afferma che l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro”.

Celebrano invece un sia pur parziale successo coloro che denunciano il carattere di autosfruttamento delle esperienze di ASL, intese come forme di preparazione di massa dei giovani al lavoro precario, discontinuo e continuamente cangiante: una via perversa alla formazione del ‘Capitale disumano’, come si intitola provocatoriamente un peraltro brillante e dottissimo pamphlet di Roberto Ciccarelli (edizioni La Talpa, Manifestolibri, Roma, 2018). Tra una citazione di Lautréamont (e di altri autori francesi, da Foucault a Deleuze ad altri pensatori antiautoritari di scuola post-moderna) e un ritorno alla severa concezione classicista dello studio di Gramsci (fermamente critico verso ogni contaminazione dello studio con la formazione professionale), Ciccarelli denuncia la subordinazione dell’ASL agli obiettivi strategici del grande capitale, che sono quelli di condizionare culturalmente la formazione della forza lavoro in modo che sia flessibile, disponibile al cambiamento continuo, dipendente dai controllori di un mercato dominato dai capitalisti. La scuola dell’alternanza viene presentata, in questa analisi, come una servostruttura del grande capitale. Un assunto molto astratto che, per dirla con il linguaggio dell’autore di questo libro, si colloca a nostro avviso in una dimensione palesemente ideologica.