Adottiamo una scuola in Indonesia/2. A chi rivolgersi

Quale tramite per adottare una scuola?
Proponiamo di rivolgersi alla Comunità di Sant’Egidio a Roma, che ha radicate presenze in Indonesia, il paese più colpito dal disastro, e la cui apprezzata esperienza è notoriamente garanzia di serietà e di efficacia nel conseguimento degli obiettivi di sostegno e di aiuto.
Anche perché, per rendere efficaci gli aiuti, bisogna conoscere molto bene le caratteristiche, le regole sociali, le abitudini delle comunità alle quali ci si rivolge.

Nella zona più colpita, a Banda Aceh, nel nord dell’isola indonesiana di Sumatra, si sommano vecchie e nuove difficoltà, logistiche, culturali, religiose e politiche, oltre che economiche, in un’area dove almeno mille insegnanti risultano dispersi e il cinquanta per cento delle scuole distrutte. E’ importante, dunque, che gli aiuti raccolti siano affidati a soggetti che abbiano conoscenza diretta dei problemi locali e dei modi per cercare di risolverli.
Nel sito sono riportati tutti i recapiti della Comunità di Sant’Egidio.

 

Le scuole di pace

Dove si può indirizzare l’azione degli operatori della Comunità di Sant’Egidio?
In due direzioni: nell’ampliamento/ricostruzione di strutture scolastiche e nel sostegno all’attività delle “Scuole di pace”.

Le “Scuole di pace” sono centri, completamente gratuiti, che si qualificano come un ambito familiare che sostiene il bambino o l’adolescente nell’inserimento scolastico; che aiuta la famiglia nel suo compito, proponendo un modello educativo aperto agli altri, solidale verso i più sfortunati, capace di superare barriere e discriminazioni.
Le attività di una scuola della pace si svolgono generalmente più volte la settimana. Visite, gite, feste, escursioni fanno parte integrante delle attività delle scuole della pace.

Ogni anno nel mondo più di 10.000 bambini e adolescenti frequentano regolarmente le scuole della pace della Comunità di Sant’Egidio.
Inoltre in Indonesia le scuole della pace si caratterizzano anche per il loro carattere multietnico e interreligioso. Giovani cinesi cristiani, in genere più benestanti, aiutano a studiare bambini indonesiani di religione musulmana, collaborando, in maniera assai concreta, all’edificazione di una società pacifica senza odi religiosi o etnici.

 

L’altro tsunami

Ma c’è un’altra riflessione che quest’evento può suggerire.
Come è stato efficacemente detto, esiste uno “tsunami silenzioso” che ogni giorno uccide migliaia di bambini e fa vivere nell’indigenza e nell’analfabetismo milioni di persone, anche se abitano lontano dal mare. Nel momento in cui una catastrofe naturale, che ci ha colpito con maggiore intensità perché ha toccato anche tanti connazionali, ci fa riflettere, non si deve dimenticare gli squilibri che esistono permanentemente. Da qui l’idea di allargare l’iniziativa “Adottiamo una scuola in Indonesia” anche alle scuole e “scuole della pace” collocate a diversi chilometri dalle coste, ma che avevano bisogno già da prima del maremoto, e continuano ad averne ora, di un aiuto.
Gli interventi promossi dalle nostre scuole potrebbero essere portati dalla Comunità di Sant’Egidio nelle scuole situate nelle zone di Pekan Baru, Duri, Padang e Medan.

E’ utile ricordare che si stima siano circa 250 milioni i minori (dai 5 ai 14 anni) nel mondo che lavorano; la metà di essi si trova in Asia. L’Asia, infatti, è il continente dove il fenomeno del lavoro minorile è più diffuso e dove sopravvivono forme di lavoro forzato dei bambini e di vera e propria schiavitù. Minori di 8 o 9 anni vengono dati in pegno, in cambio di piccoli prestiti, ai proprietari delle fabbriche per le sigarette e a quelli dei telai dove lavorano fino a venti ore al giorno.
Si calcola che, in India e in Indonesia, i minori attivi economicamente siano intorno al 25% e l’orario lavorativo consentito è dalle dodici alle quindici ore giornaliere.
Ecco una faccia dello “tsunami silenzioso” da combattere.