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Francia: passa la legge sul velo islamico, ma i problemi restano

L’Assemblea Nazionale francese, con qualche sfumatura da parte dell’opposizione di sinistra, e la solitaria opposizione dei verdi, ha approvato nei giorni scorsi a grande maggioranza la legge, voluta dal presidente Chirac, che vieta di indossare nelle scuole pubbliche il velo islamico, la kippa ebraica, le croci cristiane di grandi dimensioni (grandi quanto?), e anche il turbante, aggiunto all’ultimo momento.
I sondaggi, prima del voto, dicevano che la misura aveva il consenso del 65-70% della popolazione, e l’Assemblea (la Camera francese) si è adeguata: 494 voti a favore della legge su 561 presenti.

Ora la Francia si avvia a ratificare la legge, che se sarà approvata, come si prevede, entro il mese di marzo, diventerà operativa già a settembre, alla riapertura delle scuole.
I dubbi sulla praticabilità della legge restano però forti, tanto che il Governo ha accettato la richiesta dei socialisti di fare un bilancio dei risultati a un anno di distanza dalla sua applicazione (autunno 2005). E’ stata inoltre inserita una procedura di consultazione delle famiglie prima di arrivare a provvedimenti di espulsione dalle scuole. Ma gli insegnanti sono egualmente preoccupati, e non solo per il rischio di vedere diminuire la popolazione scolastica e le cattedre, ma anche perché toccherà a loro interpretare la norma, e stabilire se un certo abbigliamento o simbolo può essere ammesso, oppure è troppo “ostensibile”. Su una materia di questo tipo, ovviamente, non c’è assoluta certezza: quando una croce o una stella di Davide è “troppo” grande?

Ma il vero problema della odierna società francese è quello di evitare il rafforzamento del cosiddetto “comunitarismo”, cioè la tendenza dei giovani immigrati ad aggregarsi in gruppi etnico-religiosi omogenei, fuori e contro le istituzioni. La legge francese, da questo punto di vista, corre il pericolo di complicare le cose. Più saggia sembra la linea tollerante e pragmatica, magari perfino di basso profilo, finora tenuta in Italia dalle autorità pubbliche, e dallo stesso Vaticano. L’idea è che solo il dialogo tra portatori di tradizioni e modelli culturali diversi, e la tollerante compresenza di differenti simboli identitari, possono bloccare quella deriva integralista e comunitarista che la legge francese rischia di favorire.

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