Il limite massimo di alunni stranieri per classe rischia di generare l’equivoco che vi siano oggi normalmente nelle scuole italiane dei dirigenti scolastici sprovveduti che compongono le classi concentrandovi gli studenti stranieri in una sorta di ghetto, come avveniva con la classe degli asini o dei ripetenti di lontana memoria, anziché distribuirli nelle classi parallele in modo equilibrato.
Sono eccezioni coloro che concentrano gli stranieri tutti in una sola classe; in generale, invece, gli altri cercano di comporre classi in modo equilibrato. Certo, se in una scuola il 60-70% di alunni iscritti sono stranieri, e ce ne sono, allora c’è poco da fare.
Il problema non è, quindi, della classe, ma della scuola nella quale si concentrano alunni stranieri. Senza una politica territoriale che chiami in causa anche l’Ente locale, che faccia rete di servizi e di criteri per l’equa distribuzione degli stranieri nelle scuole del territorio vi saranno sempre “scuole ghetto”.
C’è l’esempio di Vicenza che può essere assunto a riferimento. Nella città veneta, guidata da una giunta di centrosinistra, i criteri di iscrizione e di formazione delle classi sono stati assunti dalle scuole della città in rete tra di loro, con l’Amministrazione comunale che fa la sua parte con servizi di supporto.
La città veneta non è la sola, perché in altri territori risultano accordi di rete interistituzionale del genere. Peraltro, la nota ministeriale che ha fissato il tetto del 30% di alunni stranieri per classe fa un esplicito richiamo proprio in questo senso: “Per evitare concentrazioni di iscrizioni di alunni stranieri si dovranno realizzare accordi di rete tra le scuole e gli Enti locali. Gli Uffici scolastici regionali, di intesa con gli Enti territoriali, comunque, potranno autonomamente definire quanti bambini stranieri per classe si potranno iscrivere alle scuole del proprio territorio”.
Il 30% di alunni stranieri per classe non può essere un dato di partenza, ma un risultato degli accordi di rete, in quanto, continua la nota ministeriale, esso va considerato “quale esito di una equilibrata distribuzione degli alunni con cittadinanza non italiana tra istituti dello stesso territorio”.
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