Tra Scilla e Cariddi. Verso la scuola delle Regioni

Verso una scuola delle Regioni

Studiare a Roma potrebbe essere diverso che studiare a Milano o a Palermo. E studiare in Piemonte potrebbe voler dire imparare contenuti sconosciuti agli alunni della Puglia o delle Marche. Una scuola insomma non più uguale per tutti, ma con una impronta diversa per ciascuna regione.

Siamo alla vigilia di un cambiamento epocale nell’organizzazione della scuola italiana, ma… nessuno lo sa. O meglio, non se ne parla. Già da settembre 2009, quindi dal prossimo anno scolastico, potrebbe scattare il federalismo scolastico previsto dalla Costituzione (nuovo Titolo V, approvato nel 2001), con un radicale trasferimento di competenze e poteri alle Regioni nel governo del sistema di istruzione e formazione.

Cosa cambierà nella scuola? Moltissimo. Un grande numero di decisioni oggi prese nel palazzone di viale Trastevere a Roma diventeranno di competenza della giunte regionali.

Si andrà quindi verso tanti sistemi scolastici differenti?

In realtà già oggi esistono scuole a diverse velocità. E bisogna aver la fortuna di nascere in aree dove la scuola funziona al meglio. Non è uno scherzo. 150 anni di centralismo amministrativo, fatto di migliaia di circolari, di riforme e controriforme, hanno prodotto un sistema di istruzione molto più disomogeneo, sul piano della qualità del servizio offerto e dei risultati ottenuti dagli allievi, di quanto si potrebbe supporre. Come dicono i dati del “1° Rapporto sulla qualità nella scuola” curato da Tuttoscuola. Troppo spesso gli studenti di una o di un’altra provincia partono con diverse opportunità.

Il problema quindi va ribaltato. Riuscirà il federalismo scolastico ad assicurare un sistema formativo in grado di colmare le differenze tra le aree di eccellenza e quelle critiche? E’ su questo terreno che verrà messa alla prova l’efficacia del federalismo scolastico. Le strutture regionali sono pronte a prendere in carico queste responsabilità? Gli organismi dello Stato sono intenzionati a favorire il trasferimento di poteri? Perché il mondo della scuola non è coinvolto?

Se ne è parlato il 5 dicembre 2007 nel convegno “Tra Scilla e Cariddi. La scuola italiana tra Stato e Regioni”, promosso da Tuttoscuola e dalla Cisl-scuola Lazio. Scilla e Cariddi sono dai tempi di Omero la metafora di due simmetrici ma altrettanto gravi rischi, che nel caso della scuola possono essere rappresentati, sul versante dello Stato, dal centralismo burocratico, e su quello delle Regioni da una interpretazione ultrattiva, quasi autarchica, del proprio ruolo.

Il convegno

Il convegno ha riscosso un’ampia partecipazione, sia per l’attualità del tema trattato, che per la qualità degli interventi.

Il tema al centro dell’incontro è quello stato quello del federalismo scolastico, seguito sempre con attenzione e tempestività da Tuttoscuola, e al quale è dedicato un ampio dossier sul sito.

Durante la mattina, hanno parlato Vincenzo Alessandro, segretario della CISL Lazio, Alfonso Rubinacci (del quale pubblichiamo in allegato l’intervento), direttore generale emerito del MPI, anche a nome dell’assessore Silvia Costa, Coordinatrice della IX Commissione della Conferenza dei Presidenti delle Regioni, e il viceministro della Pubblica Istruzione Mariangela Bastico.

Nella sessione antimeridiana, dedicata al rapporto tra federalismo e istruzione, hanno portato il loro contributo l’assessore all’istruzione della Provincia di Parma Gabriele Ferrari e Vittorio Campione, già capo della segreteria del ministro Berlinguer.

Nel pomeriggio, con il coordinamento del direttore di Tuttoscuola Giovanni Vinciguerra, si è svolta la seconda sessione del convegno, che ha analizzato il tema dei possibili rimedi alle notevoli differenze qualitative che caratterizzano la scuola italiana. Le relazioni sono state svolte da Livia Barberio Corsetti, presidente di sezione del Consiglio di Stato, a Anna Maria Poggi, docente di diritto costituzionale all’università di Torino. Le conclusioni sono state tratte dal segretario generale della CISL Scuola Francesco Scrima.

Le motivazioni del convegno

L’urgenza di questo convegno è data dal progressivo avvicinarsi del 1° settembre 2009, quando cioè le Regioni si sono impegnate a creare tutte le condizioni per attuare il federalismo nell’istruzione.

Il dibattito sullo scenario conseguente è stato finora oggetto di confronto quasi solo da parte degli addetti ai lavori. Le scuole scontano una totale assenza di informazioni, annaspando nel quotidiano, e ignorando che i prossimi mesi si annunciano decisivi per futuro della scuola italiana e per il nostro paese.

Le conclusioni

Dal convegno è emersa una linea precisa: per evitare il rischio che la scuola italiana sia fagocitata da Scilla (il mostro marino metafora di un vorace neocentralismo burocratico) o si frantumi nei gorghi di Cariddi (metafora di una concezione autarchica del regionalismo) occorre dare una corretta e soprattutto equilibrata attuazione al titolo V della Costituzione.

Per questo, come ha riferito il viceministro Bastico, sono al lavoro una serie di tavoli tecnici, gestiti congiuntamente da esperti dello Stato e delle Regioni, che hanno il compito di definire con la massima chiarezza i compiti e le competenze dei diversi livelli istituzionali che si occupano di istruzione adottando un’ottica sinergica e solidale, e non gerarchica: le scuole autonome, le autonomie locali, le Regioni e lo Stato.

Ma dal convegno non sono emerse soltanto indicazioni di tipo tecnico. In molti degli interventi che si sono succeduti nella giornata si è evidenziata la convinzione che per affrontare con fiducia i gravi ritardi e le inefficienza che la scuola la scuola italiana ha accumulato (si pensi anche solo agli esiti dell’indagine OCSE-PISA, disastrosi per l’Italia) occorrono risorse adeguate, di gran lunga superiori a quelle assicurate dagli ultimi governi che si sono succeduti, a prescindere dalle parti politiche che li hanno espressi.

Occorrerebbe anzi che l’obiettivo di un importante, strategico investimento a medio-lungo termine per il miglioramento della qualità del nostro sistema di istruzione fosse condiviso dalle principali forze politiche del Paese, e che la scuola fosse messa al riparo, per un periodo adeguato (e come non è avvenuto in questi anni) dalle fibrillazioni del sistema politico.