30 ottobre: sciopero generale. E dopo?

Nel comunicato unitario con il quale proclamano lo sciopero generale della scuola le cinque organizzazioni sindacali FLC Cgil, CISL Scuola, UIL Scuola, SNALS Confsal e GILDA Unams, cui si è aggiunto l’autonomo di base Unicobas,  portano come principale motivazione la lotta contro  “la  manovra indiscriminata di ‘tagli’ al Comparto per quasi 8 miliardi di euro che destrutturano il nostro sistema pubblico di istruzione e mettono a rischio il diritto allo studio e la qualità dell’offerta formativa“.

Ma al di là del merito i sindacati contestano il metodo, cioè il fatto che il piano di razionalizzazione e riduzione della spesa sia stato deciso unilateralmente dal governo “in totale assenza di un reale confronto con le forze sociali e con il mondo della scuola destinatario dei provvedimenti“.

In sostanza i sindacati della scuola sentono minacciato, forse per la prima volta in termini così perentori, il loro ruolo “politico”, quel ruolo di partnership magari critica e fortemente dialettica, ma sempre rispettata – perfino dall’autoritaria e tecnocratica Moratti – nella costruzione e spesso nella gestione delle più importanti azioni di politica scolastica e del personale.

Il governo e (con qualche distinguo) l’intera maggioranza che lo sostiene appaiono però determinati a proseguire sulla linea intrapresa con la legge 133 e il decreto legge 137, una linea che lascia ai sindacati uno spazio di fatto soltanto posteriore all’assunzione delle decisioni. Sembra difficile che il governo possa fare marcia indietro su macrodecisioni come l’entità complessiva dei tagli previsti dalla legge 133 o il ripristino del maestro unico nella scuola primaria. A questo punto, accanto all’opzione della guerra ad oltranza, non resterebbe ai sindacati che giocare – il più unitariamente possibile – la carta di un confronto a tutto campo non sulla quantità ma sulla qualità dei tagli, non sulla quantità ma sulla qualità della spesa.