2020 addio/1. L’annus horribilis della scuola italiana

Si avvia al termine un anno (solare, ma anche scolastico) drammatico per le scuole di tutto il mondo, costrette a chiudere per periodi più o meno lunghi allo scopo di contenere la diffusione del Covid-19. Ma per la scuola italiana la sfida del virus è stata particolarmente impegnativa perché il nostro Paese è stato il primo in Europa a decidere il lockdown totale, che ha determinato anche la sospensione della didattica in presenza, e l’ultimo a riaprire le aule, dopo una chiusura durata 6 mesi, e dopo molte, troppe polemiche. Ed è stato poi costretto a richiuderne una gran parte da novembre ad oggi.

Solo all’inizio, diciamo per qualche settimana dopo il fatidico 9 marzo 2020, la scuola italiana (come, d’altra parte, l’intero Paese, con le sue finestre imbandierate e l’inno ‘rinascerò rinascerai’) è sembrata rispondere alla sfida della pandemia in modo attivo e propositivo. Tra la sorpresa di molti gli insegnanti hanno affrontato la novità della didattica a distanza (DaD) con coraggio e intraprendenza. Ma poi si sono manifestate tutte le difficoltà di un’esperienza professionale e tecnologica improvvisata: malfunzionamento delle connessioni e delle piattaforme soprattutto in alcune Regioni del Sud, difficoltà di adattamento per una parte dei docenti, non solo i più anziani, problemi per le famiglie con più figli in età scolare e i genitori in smartworking, per non parlare della condizione di quasi abbandono degli alunni con disabilità certificate.

A tutte queste difficoltà non è stata data, quando si sarebbe potuto (da maggio ad agosto) la risposta che secondo noi sarebbe stata quella più lungimirante: corsi di formazione a tappeto per insegnanti e anche per genitori, tempestiva fornitura alle scuole, ma anche alle famiglie e agli stessi studenti, di adeguate attrezzature tecnologiche e devices, know-how organizzativo sulla ridefinizione degli spazi e dei tempi in vista della ripresa della didattica in presenza da integrare con quella a distanza, poi (opportunamente, almeno in questo caso) trasformata in DDI (Didattica Digitale Integrata). E fuori della scuola si sarebbe dovuto lavorare in quei mesi (e anche nei successivi) su sistema dei trasporti, tamponi, tracciamento e potenziamento delle ATS. Non è stato fatto abbastanza, e se ne pagano ora le conseguenze.