Scuola: perché dobbiamo riconciliarla con la vita

Pubblichiamo l’intervento del professor Innocent Smith pubblicato nel numero di dicembre di Tuttoscuola. 

Dott Rubinacci,

sono un professore inglese esperto di sistemi educativi di Europa, Stati Uniti, Asia e Australia. Sono spesso in Italia visto che possiedo un casale in Umbria dove trascorro diversi periodi nell’anno. Ho imparato l’italiano così da poter meglio apprezzare le bellezze e le ricchezze di questa terra che amo. Rimango però piuttosto perplesso quando leggo delle vicende della scuola italiana e ne parlo spesso con insegnanti, dirigenti ed esperti, traendone l’impressione di una barca che procede in ogni direzione contemporaneamente, senza un vero e proprio governo, in preda ad una frenetica agitazione che però non le consente di concentrare le forze verso una precisa destinazione.

Lei ha usato nel suo articolo pubblicato nel numero di novembre della rivista Tuttoscuola un’espressione molto lieve: “un ciclo di cambiamento ma di direzione incerta”; io mi permetto di essere un po’ più franco: vedo molto stress, lamentazione e dissipazione di risorse che potrebbero essere meglio spese se fossero concentrate su obiettivi chiari. Quindi, firmando con il nome del mio personaggio preferito, la cui missione fondamentale consiste per il suo autore nel riconciliare la gente con la vita, provo ad indicare ciò che considero essenziale per il successo della scuola italiana. Il Miur ha scelto a parole di sostituire i programmi con il curricolo, ma non ha abbandonato l’idea dirigista del passato, come se il nuovo possa emergere dagli adempimenti. Le linee guida nazionali non bastano, occorre un curricolo nazionale che indichi i tratti essenziali della proposta formativa e che costituisca il punto di riferimento per l’elaborazione dei curricoli reali, quelli prodotti dagli insegnanti in base al contesto, ai caratteri della mission scolastica, alle esperienze positive portate a termine. Ma nella realtà, il vecchio impianto burocratico non è affatto venuto meno; accanto a questo è sorta una nuova burocrazia di “ingegnerismo educativo” che ha prodotto obblighi esagerati, centrati sulla compilazione di formati (format) piuttosto che sul perseguimento di risultati positivi (goal) a favore degli studenti e della comunità.

Inoltre, la nuova stagione legislativa centrata sul principio della tutela dei diritti si è abbattuta sulla scuola con l’effetto di un freno e di un rovesciamento del compito della scuola: che senso ha la privacy in un’azione educativa? Le difficoltà di apprendimento non vanno protette, ma superate con sensibilità ed intelligenza. I genitori non sono sindacalisti dei figli, ma alleati delle scuole in un progetto teso a fornire a questi ultimi le migliori occasioni di cultura vera. La vicenda scolastica non deve essere decisa in base allo spauracchio dei ricorsi al Tar, al carico di adempimenti di varia natura, ma al positivo compimento delle attività didattiche per formare giovani preparati, non solo autonomi ma liberi, capaci di affrontare il mondo con consapevolezza di sé, capacità di cooperazione e stile etico. Penso ad un testo unico che tolga la cappa di burocrazie di varia natura che soffoca lo spazio dell’azione positiva e spegne il desiderio di sapere dei giovani; che disegni una scuola più leggera, che dà fiducia alle persone che vi operano e valuta il loro lavoro in base ai tre risultati chiave: esiti interni (prove di valutazione interne ed esterne), esiti successivi (continuità degli studi e lavoro), soddisfazione dei diversi attori in gioco. Che coinvolga i rappresentanti della comunità nelle prassi di valutazione della scuola. Tutto questo potrà favorire una riforma dal basso fondata sul curricolo reale delle scuole.

Il Ministero, tramite accordi, progetti, incentivi, dovrebbe favorire occasioni preziose di cultura viva, attuale, aperta al futuro che stimolino esperienze didattiche. La scelta dell’alternanza è apprezzabile, va però realizzata non come un adempimento o una sospensione della didattica ordinaria, ma come parte integrante del curricolo. Soprattutto, mi pare urgente un progetto globale di rinnovamento della scuola media (secondaria di primo grado), che rappresenta forse l’anello debole del sistema educativo italiano e che richiede una nuova spinta ideale e progettuale.

Occorre stimolare un metodo di lavoro unitario fondato sulla ricerca-azione. La scelta della proliferazione di bandi di concorso su temi parziali espone le scuole alla frammentazione, ad uno stile di lavoro stop and go, alla creazione di una sovrastruttura progettuale staccata dalla realtà quotidiana, alla fomentazione di tensioni tra il personale aventi come oggetto l’uso del denaro. Perché non favorire progetti globali di rinnovamento didattico, che aggancino le scuole alle dinamiche più interessanti dello sviluppo culturale, sociale ed economico, di durata pluriennale, centrati su poche mete fondamentali e verificate passo passo da personale esperto che accompagna e incoraggia il miglioramento?

Non c’è cambiamento positivo se non parte da un atto di fiducia negli insegnanti e nelle scuole, chiamate ad intensificare gli sforzi per avvicinare i giovani alla cultura, che persegua un’intesa con il mondo della cultura “di prima mano”, della ricerca, dell’economia, della solidarietà. Un percorso che valorizzi le grandi tradizioni educative di cui è ricca la scuola italiana e che stimoli un modo di lavorare più comunitario di dirigenti ed insegnanti che si scambiano materiali, si confrontano, progettano insieme, celebrano i successi conseguiti dando voce ai loro studenti. Riaffermando la necessità di riconciliare la scuola italiana con la vita.