Pino Turi: ecco perché la scuola ha bocciato il merito

Se non andavano bene i criteri di valutazione della Buona Scuola, diamolo pure per scontato, ne esistono altri che concretamente possano essere accettati da chi per mestiere valuta gli altri cioè gli alunni? O siamo ancora fermi al rifiuto di ogni esame, ogni giudizio, ogni selezione?“. Questo è il quesito provocatorio lanciato da Gian Antonio Stella dalle pagine del Corriere della Sera dello scorso 6 gennaio. La questione è quella del merito degli insegnanti sul quale, secondo il giornalista, l’Italia sarebbe “imbullonata“. Prende a dimostrazione delle sue parole il pezzo di Gianna Fregonara e Valentina Santarpia che hanno scritto nelle colonne dello stesso quotidiano che “nel Lazio sono stati premiati il 47% dei prof, cioè uno su due, che una scuola su 5 ha scelto di dividere i fondi in parti uguali e che a Palermo nella metà delle scuole il premio è stato assegnato sulla base dell’autocertificazione“. E poi cita Pino Turi, segretario generale della Uil Scuola, che proprio a Tuttoscuola dichiarò che “va bene premiare il merito, ma troviamo dei criteri in sede contrattuale perché i migliori magari non sono 5 ma l’80% degli insegnanti“. “Nessuno si sognerebbe di sostenere, neppure dentro il sindacato, che possano indistintamente essere «i migliori» l’80% dei calciatori o dei pianisti, dei fabbri o dei pizzaioli – dice Stella – In tutti i campi della vita ci sono i più bravi e i meno bravi. Che devono essere tutelati, si capisce: non a tutti è concesso di diventare Messi o Pollini“. Proprio Pino Turi interviene allora sulle pagine online di Tuttoscuola sulla questione del merito degli insegnanti. Pubblichiamo di seguito il suo intervento.

 “La valutazione degli insegnanti è sicuramente un problema complesso, ma certamente ‘non sindacalmente esplosivo” – citando anch’egli, come Stella, Roberto Perotti (ndr) – nella misura in cui non diventi un alibi per i tagli che puntualmente sono arrivati e per indebolire la funzione statuale della scuola. Tutto dipende dall’impostazione politica con cui ci si pone.

L’intera impostazione data dalla Buona Scuola ha un difetto di origine, una sorta di peccato originale, che ne ha condizionato ogni effetto positivo: la dis-intermediazione  dei corpi intermedi, a partire dal sindacato.

È la costante con cui il Governo Renzi si è approcciato ai temi del lavoro (scuola, Jobs Act, previdenza), temperata solo nell’ultima fase da una inversione di tendenza molto diversa, da noi salutata con estremo favore. La legge di Bilancio e l’accordo sul rinnovo dei contratti pubblici ne rappresentano l’espressione più evidente. Si è trattato di un mutamento profondo, ma necessario, di una linea politica bocciata sonoramente dal Paese reale, di cui gli insegnanti sono parte importante, che tende, ora, a ridisegnare il rapporto con il  mondo reale.

Apprendiamo sempre dalle pagine del Corriere della Sera,  che l’ex Sottosegretario al Lavoro, il bocconiano Tommaso Nannicini, designato come l’estensore del prossimo programma di governo del PD, voglia farlo attraverso la “re–intermediazione, investendo nell’associazionismo, nei circoli, sulla rete e nel confronto con i corpi intermedi”.

Nello specifico, la scuola ha bocciato il merito perché  ha valutato in maniera  strumentale sia l’approccio che la modalità autoritativa ed eterodiretta, con cui è stato realizzato.

Tornando al “Bonus premiale dei docenti”, superata l’iniziale enfatizzazione mediatica, nella sostanza si sono messi a disposizione 200 milioni di euro per premiare una platea composta da 750.000 docenti. Come dire, dopo gli stipendi più bassi d’Europa, abbiamo aggiunto anche la beffa dei “premi” più striminziti d’Europa! Più che premi, una paternalistica paghetta!

A fronte di risorse insufficienti sarebbe più corretto parlare di tentativo di diversificazione stipendiale, piuttosto che valutazione del merito che, invece, dovrebbe aprire la strada a incrementi economici e/o di carriera. Perché si possa trovare un metodo per assicurare che il merito sia l’elemento qualificante, occorre effettuare alcune attente valutazioni:

– quella dell’insegnante è una professione a cui va garantito un ampio grado di libertà, per cui vanno evitati i condizionamenti individuali e di gruppo;
– occorre che il sistema sia percepito come oggettivo e giusto per avere il massimo consenso;
– va evitato ogni tentativo di gerarchizzazione della categoria che, inevitabilmente porterebbe a concreti rischi di indottrinamento, operando un’inaccettabile mutazione genetica di un insegnamento laico e libero;
salvaguardare il senso di comunità della scuola dell’autonomia ed evitare modelli di tipo mercatista.

Per questo occorre definire:
– un sistema di valutazione indipendente e che sia rispettoso dell’autonomia della singola scuola;
– i criteri e i parametri per individuare i destinatari che non possono essere svincolati dal “lavoro d’aula”;
– assicurare il massimo della trasparenza e condivisione.

Elementi non facili da trattare, ma se vi è una possibilità, questa non può prescindere dalla sede naturale che, a nostro giudizio, non può che essere quella del contratto nazionale, prima, e del contratto decentrato, poi, per la sua concreta applicazione. È questo l’ambito in cui si confrontano le diverse posizioni, si ricerca il consenso e si verificano le risorse disponibili.

Che non sia solo teoria o un modo per eludere il problema, portiamo ad esempio le misure introdotte per il personale ATA nell’ultimo contratto, come noto bloccato da oltre sette anni. La contrattazione aveva individuato e attuato un sistema di differenziazione retributiva, sulla base di parametri meritocratici, poi messi in discussione dalle leggi finanziarie succedutesi.

Nello stesso contratto la commissione istituita per l’analoga valorizzazione dei docenti non ha potuto produrre nulla per mancanza di risorse e per il blocco della contrattazione collettiva. Missione ardua, ma non impossibile, dunque.

Le recenti vicissitudini referendarie, hanno ancora una volta mostrato come la ricerca del consenso vada valutata prima e non dopo sui diversi provvedimenti in atto e non semplicemente nelle aule parlamentari, ma anche nel Paese reale.

La UIL Scuola, come sempre, è pronta a raccogliere la sfida, a confrontarsi e discutere, a patto che ci sia qualche idea, le risorse, una visione strategica della funzione costituzionale della Scuola statale su cui costruire le migliori soluzioni, altrettanto faccia il Governo.

Pino Turi
Segretario Generale UIL Scuola