Paritarie, come uscire dal vicolo cieco

Prosegue il dibattito sul destino delle scuole paritarie, al quale Tuttoscuola dedica lo spazio che merita una delle grandi questioni irrisolte della scuola e della Costituzione italiana, quella della conciliazione tra il compito della Repubblica di istituire“scuole di ogni ordine e grado” (art. 33) e il “diritto e dovere dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli” (art. 30).

La prospettiva della chiusura a breve di un terzo delle scuole paritarie ha rilanciato il confronto che, al di là delle misure contingenti volte a impedire che gli alunni delle paritarie chiuse si riversino sulle scuole statali nella già difficile situazione in cui esse si troveranno nel prossimo mese di settembre, torna ad affrontare la questione di fondo di come assicurare un trattamento di vera parità tra tutte le scuole che la legge n. 62/2000 ha stabilito far parte di un unico sistema pubblico di istruzione.

Negli ultimi due anni è stata avanzata, per iniziativa soprattutto di suor Anna Monia Alfieri, la proposta di utilizzare il ‘costo standard’ come parametro unico di finanziamento di tutte le scuole, statali e paritarie, ma malgrado le non poche adesioni trasversali, la proposta è rimasta sulla carta e appare difficile che possa fare passi avanti nell’attuale contesto politico.

Una alternativa allo stallo, e alle modeste misure di salvataggio in extremis previste dal decreto legge ‘Rilancio’, viene ora prospettata da Mario Dupuis, già responsabile scuola del Movimento popolare negli anni Ottanta dello scorso secolo, in un articolo pubblicato da ilsussidiario.net con il non equivoco titolo “Paritarie, il tradimento della Dc e il vicolo cieco di oggi”.

A giudizio di Dupuis, oggi attivamente impegnato nel volontariato, la soluzione del problema del finanziamento delle scuole paritarie non passa dalla attuazione della legge 62, che resta “figlia di un’impostazione comunque statalista”, ma dalla assegnazione di un “buono scuola” da parte delle Regioni alle “famiglie che aderiscono alle formazioni sociali che gestiscono scuole paritarie” facendo leva sul ruolo attivo che a tali formazioni assegna l’art. 2 della Costituzione, oltre che sull’art. 30 che sancisce il dovere dei genitori di mantenere, istruire, educare i figli.

Dupuis ricorda che di ipotesi di questo genere si parlò a livello politico tra il 1985 e il 1987, e che non mancarono aperture da parte del mondo laico e socialista (viene citato in particolare l’interesse mostrato dall’allora vicesegretario del PSI Claudio Martelli per il “buono studio”, ma si discusse anche, proprio tra Dupuis e l’allora dirigente dell’ufficio scuola del PSI Orazio Niceforo, di una diversa interpretazione del “senza oneri per lo Stato” non preclusiva di finanziamenti per le scuole non statali nel quadro di politiche nazionali innovative). Ma “l’operato politico della leadership dominante del mondo cattolico”, afferma Dupuis, “si concentrò di fatto sulla capacità di condizionare politicamente e culturalmente la gestione della scuola statale, indebolendo però la possibilità di un cambiamento”.

Fu la DC insomma a scegliere di “rendere sempre più statalista (tanto governava lei) la prima parte dell’art. 33” (“l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”; “la Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi”) “trattando come un macigno insormontabile il famoso emendamento Corbino (“Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato”).

Macigno che allora non fu rimosso e che neanche la legge 62 ha rimosso (su questo Dupuis ha ragione). Sta ancora lì, e continua ad essere il principale ostacolo da rimuovere. (ON)