Non ri-partenza, ma partenza: la grammatica dell’educativo digitale

Di Roberto Franchini
Pubblichiamo di seguito una nuova parti del documento di Franchini “Una crisi da non sprecare. Partire, invece che ri-partire”.

Forse cambiare la grammatica della scuola è addirittura impossibile, così come non è possibile cambiare la grammatica della lingua italiana: è radicato, infatti, il pregiudizio su cosa significhi in effetti l’essere scuola, e quali ne siano le regole definitorie. Per cambiare la grammatica, occorre cambiare la lingua: forse dobbiamo uscire dal linguaggio dell’istruzione, ed entrare definitivamente in quello dell’educazione, e della sua particolare grammatica, con regole e consuetudini differenti.

La grammatica dell’istruzione, o dell’educativo cartaceo, può essere a grandi linee riassunta come segue:

  • Prevalenza della lezione frontale, a fine di veicolazione di saperi;
  • Organizzazione degli spazi a funzione trasmissiva (cattedra, strumenti di presentazione, banchi, etc.);
  • Rapporto quasi esclusivo tra insegnante e classe, intesa come gruppo intero, in condizione passiva di ascolto;
  • Orario scolastico frammentato per discipline, con un numero generalmente elevato di docenti;
  • Uso massivo del libro di testo come strumento di fruizione passiva e riproduttiva di conoscenze;
  • Valutazione sommativa di saperi, sotto forma di riproduzione mnemonica degli acquisiti.

La grammatica dell’educativo digitale può invece essere rappresentata dalle seguenti possibili coordinate trasformative[1]:

  • dall’aula all’articolazione di spazi differenziati per ricercare, collaborare, connettersi, in presenza ma anche in remoto;
  • dall’orario scolastico al tempo di lavoro, non necessariamente confinato in un quadro rigido;
  • dal gruppo classe a piccoli raggruppamenti (team cooperativi), in presenza ma anche a distanza.
  • da discipline a compiti di realtà, cross culturali e in grado di stimolare una molteplicità di competenze, anche e soprattutto sociali, civiche ed emotive;
  • da risorse didattiche rigide e mnemoniche a una molteplicità di fonti, cartacee e digitali;
  • da insegnanti ex cathedra a insegnanti facilitatori, registi di esperienze di apprendimento.

Nello spazio che segue verrà dedicata attenzione ad alcune di queste dimensioni organizzative, che costituiscono per così dire il curricolo implicito, o la grammatica, della scuola educativa. Come si potrà vedere, la tecnologia rimane in secondo piano, mentre emergono variabili ben più importanti, come il modo di organizzare lo spazio, il tempo e i raggruppamenti.

Lo spazio educativo: da classi a zone di apprendimento

Se nell’emergenza del virus si affronta la questione dello spazio in ottica conservativa, allora non rimane altra chance che creare dei turni di presenza, riducendo la concentrazione degli studenti presenti, e utilizzando la Didattica a Distanza con quelli lasciati a casa. E’ evidente che si tratta di una soluzione che non mette in discussione lo scenario tradizionale (la grammatica dell’istruzione).

In realtà, per favorire il cambiamento, e allo stesso tempo ridurre al minimo il rischio del contagio,

occorre riconsiderare l’organizzazione dello spazio scolastico, prevedendo più tipologie di setting, andando oltre la tradizionale distinzione tra aule, corridoi e spazi condivisi. Superando questa rigida distinzione, e non dovendo far riferimento pedissequo al formato dell’aula, diventa possibile non solo reperire altri spazi al di fuori della scuola, ma anche utilizzare in modo più efficace e pervasivo ambienti già disponibili, e spesso sotto utilizzati, come corridoi, androni, mense, spazi esterni, etc.

Gli spazi educativi dovrebbero avere una funzione variabile, ad esempio:

  • alcune aule per il lavoro frontale, o generiche o specifiche per ambiti culturali, scientifici o tecnologici
  • spazi, non necessariamente all’interno delle aule, per il lavoro cooperativo a piccoli gruppi.
  • spazi per il lavoro e la ricerca individuale.
  • spazi per il lavoro virtuale in videoconferenza.

Un esempio concreto di questo modo di organizzare lo spazio educativo è rappresentato dal progetto Future Classroom Lab dell’European School Network; in esso si immagina una scuola organizzata non secondo il principio delle classi, ma secondo il principio delle zone di apprendimento, ovvero del tipo di operazione o mandato intellettuale che gli studenti si trovano a dover affrontare (lezione, lavoro individuale, lavoro cooperativo, ricerca, scambio, creazione di prodotti culturali)[2].

In ogni tipologia di spazio, persino dalle aule, la limitazione di arredi come cattedre, predelle e lavagne fisse dovrebbe facilitare il distanziamento sociale, facilitando la flessibilità organizzativa. Gli arredi tipici della lezione frontale devono essere collocati negli spazi riservati a questo tipo di attività. Negli spazi dedicati al lavoro cooperativo, al contrario,  si può tranquillamente eliminare questo tipo di strumentazione, liberando metri quadri per l’interazione costruttiva.

 Il tempo educativo: da orario a tempo di lavoro

L’organizzazione tradizionale del tempo scuola prevede la concentrazione degli allievi in un arco temporale ristretto; inoltre, il tempo è tendenzialmente frammentato entro un orario dettagliato, costruito per facilitare la trasmissione culturale entro lo stereotipo dell’ora di lezione. Se questo scenario rimane immutato, per ripartire si renderà inevitabile lo scaglionamento delle presenze degli studenti (magari per orari ridotti), o la già paventata turnazione tra presenza e remoto.

L’educativo digitale spinge a cambiare i presupposti, indebolendo la nozione di orario, e collegando l’articolazione del tempo intorno al tipo di lavoro e di mandato assegnato  agli studenti.

In realtà, per stimolare l’autonomia, la creatività e l’autoregolazione dei ragazzi è opportuno strutturare adeguati periodi di tempo lasciati alla loro iniziativa e responsabilità, diminuendo considerevolmente i tempi dedicati ad attività (lezioni) condotte direttamente dal docente, e dando ampio spazio all’apprendimento basato su progetti.

Per fare questo, sarebbe opportuno evitare l’affidamento dei ragazzi ad un numero considerevole di insegnanti nell’arco della stessa mattinata, raggiungendo, se possibile, il principio “una mattinata, un docente”. In questo modo, è il docente a decidere come strutturare il tempo a disposizione degli studenti, creando una sequenza di lavoro blended, fatta di brevi lezioni, assegnazione del mandato di lavoro, sostegno e supervisione, verifica. L’articolazione qualitativa del tempo rende così possibile evitare il grande numero, in quanto ad esempio la stessa breve lezione può essere ripetuta a piccoli gruppi diversi nell’arco della stessa mattinata, mentre gli altri studenti lavorano o in gruppo o individualmente. Naturalmente, è anche possibile immaginare che la breve lezione, preliminare al mandato di lavoro, sia erogata in modalità flipped, contribuendo nuovamente ad evitare la concentrazione di molti studenti nella stessa aula.

Durante il tempo nel quale gli studenti lavorano individualmente o in piccolo gruppo, il docente si colloca in posizione laterale (non frontale) lasciandosi coinvolgere in attività di supporto, aiuto, consiglio, personalizzazione.

Queste considerazioni comportano una modifica, già giuridicamente possibile, ad uno stereotipo largamente invalso, quello che prevede che il singolo docente svolga le sue ore con una classe lungo tutto l’arco dell’anno scolastico, con una scansione rigida, che dispone ad esempio quattro ore di italiano settimanali, alla seconda ora del lunedì, alla terza e quarta del mercoledì, e alla prima del venerdì (molti insegnanti per altro sanno che, come affermava Einaudi, già la quarta ora di insegnamento è inservibile, con studenti stanchi, gambe e braccia inquiete e disattenzione generale).

In realtà, non c’è alcun divieto che impedisca che il docente di italiano svolga il suo quantitativo orario con una classe nell’arco di due o tre mesi, concentrando le sue ore in alcune giornate, con periodi estesi di tempo, che egli a quel punto non potrà (fortunatamente) usare per fare lezione, ma che utilizzerà per attivare gli studenti su mandati di lavoro attraenti e forieri di apprendimento non solo linguistico, ma etico e culturale.

Altro aspetto importante, lo spazio educativo potrebbe essere utilizzato per l’intera giornata, anche mediante una turnazione, che tuttavia non riguarda due porzioni di classe (una in presenza e una in remoto), ma riguarda gruppi di insegnanti e studenti, che utilizzano il tempo in modo flessibile e produttivo.

Dalla classe ai gruppi cooperativi

La didattica a distanza durante il coronavirus ha lasciato intravedere la possibilità di superare il tradizionale abbinamento docente-gruppo classe. In via del tutto teorica, uno studente siciliano avrebbe potuto tranquillamente frequentare una lezione di un docente della Lombardia, e viceversa. Ora, mentre si pensa alla ri-partenza, se si rimane all’interno della grammatica scolastica, l’emergenza diventa particolarmente sfidante: come ri-creare le classi? La risposta conservativa è quella più volte citata: scaglionamento e turnazione.

Uscendo da quella grammatica, la domanda diventa: come articolare le classi in gruppi di apprendimento? come prevedere tempi di apprendimento individuale, sotto la guida, in presenza  o in remoto, dei docenti?

Mentre nella grammatica dell’istruzione il gruppo esteso rappresenta la modalità più economica per trasmettere contenuti ad un ampio numero di studenti (al limite anche ben al di là del numero previsto dalle classi, come accade ad esempio all’Università), per promuovere in modo compiuto la responsabilità individuale, anche ai fini della valutazione, è suggeribile predisporre momenti di lavoro, ricerca e produzione individuale. Questa modalità di lavoro, inoltre, favorisce ulteriormente il profilo della personalizzazione.

Sarà importante, in questa prospettiva, dedicare del tempo per insegnare ai ragazzi ad eseguire tesi, ricerche e produzioni personali, per poi strutturare modalità di lavoro individuale (es. tesi, ricerche, produzioni), commisurate al livello e al percorso formativo del singolo studente.

Poi, naturalmente, l’apprendimento cooperativo: il nuovo paradigma richiede il coraggioso passaggio dalle componenti individualistiche, selettive e competitive del sistema di istruzione a quelle collaborative del sistema educativo, approfittando dell’introduzione della tecnologia per potenziare i momenti e i tempi dedicati alla cooperazione, allo scambio e alla valorizzazione delle differenze.

Occorrerà dunque inserire nei mandati di lavoro e nei progetti forme di apprendimento cooperativo, valutando, oltre agli esiti in termini di competenze culturali e professionali, anche le competenze personali, sociali ed emozionali.

Al contempo, nel tempo educativo è opportuno inserire progetti e percorsi di apprendimento socioemotivo in modalità esplicita, e non solo trasversale, promuovendo negli studenti quelle competenze e abilità sociali che consentano loro di interagire in modo costruttivo, risolvendo problemi ed elaborando prodotti in modo collaborativo e coinvolgendo l’apporto di tutti i membri del gruppo di lavoro[3].

Il gruppo di lavoro, composto ordinariamente da tre/quattro studenti, in linea con le evidenze di letteratura, sarà preferibilmente stabile ed eterogeneo per capacità e livello, in modo tale da indurre forme di peer education, adeguatamente sostenute dalla presenza attiva del docente (senza escludere gruppi di livello per attività di recupero).

Dal libro di testo alle fonti culturali

L’educativo digitale rende sostanzialmente obsoleta l’adozione del libro di testo, strumento invece fondamentale all’interno dell’educativo cartaceo, dei suoi obiettivi (alfabetizzazione) e strumenti. Nel nuovo scenario occorre infatti diminuire la funzione di riproduzione culturale, favorendo l’attività creativa degli allievi.

Le risorse didattiche devono aiutare l’educatore nel predisporre situazioni e contesti in grado di stimolare l’iniziativa, la responsabilità e la creatività degli studenti. Il libro di testo, al contrario, corrisponde ad un’idea di sapere fisso, non costruito e non criticabile. Oggi è necessario stimolare gli studenti a confrontarsi con fonti multiple, coltivando allo stesso tempo labilità di esplorazione, critica e rielaborazione.

La scuola non adotta la logica del libro di testo, né sotto forma cartacea né sotto forma digitale.   Questo non vuol dire che nello spazio educativo saranno presenti solo risorse digitali, ma che in esso saranno presenti più libri di ambito disciplinare e pluri-disciplinare, meglio se messi a disposizione all’interno di aule tematiche (es. l’aula di matematica), in grado di integrare e ricondurre a sintesi le altre fonti fruite dagli studenti.

In questa logica, la scuola agevola la fruizione di biblioteche interne ed esterne, di biblioteche digitali (ovvero di una pluralità di libri o di moduli di contenuto) e più in generale di base-dati di informazioni. Agli studenti potrebbe essere chiesto  di costruire “libriditesto”, sotto forma di eBook, anche in funzione dell’esame finale.

Naturalmente, specie negli ordini scolastici inferiori, è bene che l’educatore selezioni le fonti disponibili, ma l’azione del fornire contenuti e argomenti può e deve essere gestita anche in modo indiretto, elaborando materiali multimediali oppure selezionando dalla rete quelli già disponibili, in varie forme. Gli insegnanti, dunque, reperiscono fonti e materiali affidabili per la ricerca e lo stu- dio (videolezioni, siti Internet, libri, podcast, etc.), e li indicano in forma chiara agli studenti (ad esempio fornendo sitografie, bibliografie, etc.).

Al contempo, gli insegnanti sono chiamati ad educare  gli studenti alla fruizione dei materiali, stimolando il loro senso critico e sottolineando i vantaggi legati alla fruizione non sincrona dei contenuti (es. possibilità di riascoltare, di confrontare, di fare sintesi, etc.).

La lezione frontale è utilizzata in modo bilanciato (blended) con le nuove risorse: attraverso di essa l’insegnante traccia il percorso, fa sintesi di quanto appreso e pone le basi per la ricerca di nuove conoscenze.

Infine, è oramai indispensabile predisporre esperienze che coinvolgono il contributo del mondo esterno sociale e culturale: allo scopo di rendere le attività di apprendimento il più possibile sensate, ovvero autentiche, è necessario rendere per così dire trasparenti le mura scolastiche, mettendo gli studenti a contatto con il contesto reale, mediante dialoghi, reali o virtuali, con il mondo esterno. Per realizzare questo obiettivo, può essere suggeribile “esporre” il lavoro degli studenti alla valutazione esterna, ad esempio mediante blog e social network.

Infine, nell’ambito della cosiddetta infosfera, occorre lavorare ad una nuova cittadinanza digitale, insegnando valori legati alla propria presenza responsabile in rete, anche contribuendo a migliorare i contenuti online.

Il curricolo: dagli standard di istruzione alla crescita personale

Un motto abbastanza frequente nei discorsi intorno alla riforma della scuola è quello con cui si afferma che occorre “alzare gli standard”. Dietro a questa espressione, apparentemente inattaccabile, c’è una logica in realtà discutibile: alzare gli standard eleva davvero la qualità del sistema educativo? Una possibile risposta si annida in una considerazione semplice e diretta: standard significa “uguale”, e pertanto la la standardizzazione rappresenta una dinamica opposta a quella della personalizzazione.

Come spesso accade nelle questioni educative, si entra qui in una sorta di dilemma, ovvero non nella scelta (facile) tra ciò che è bene e ciò che è male, ma nella scelta (complessa) tra due beni, ovvero di ciò che può rappresentare un bene maggiore in un dato contesto storico-geografico. Elevare lo standard, portando tutti ad un livello elevato di conoscenze e competenze, ha senz’altro un valore, e lo ha avuto senz’altro nel periodo storico in cui l’obiettivo principale era la lotta contro l’analfabetismo.

Tuttavia, nell’attuale contesto elevare gli standard  non è probabilmente la scelta migliore, dato che la problematica educativa prevalente non sembra essere quella legata alla povertà culturale,  e alla conseguente esigenza di democratizzare la cultura, quanto quella relativa a fenomeni come la fragilità socio-emotiva,  la demotivazione, la dispersione scolastica e la disoccupazione giovanile. Nel contesto storico attuale, mentre i nuovi media rendono facilmente accessibili le conoscenze, non accade così per il senso critico, la capacità di collaborare, l’iniziativa, la resilienza e il senso civico. Insomma, oggi probabilmente occorre elevare la personalizzazione, non la standardizzazione.

Da questa prospettiva si comprende meglio la Raccomandazione Europea sulle competenze chiave per l’apprendimento permanente del 2018[4]: si riafferma il principio che l’apprendimento deve riguarda la competenza intesa come una combinazione dinamica di conoscenze, abilità e atteggiamento, assegnando infine un peso inedito a competenze sociali e personali, che possono essere coltivate soltanto in contesti cooperativi e di elevata personalizzazione.

Come ha scritto Giorgio Chiosso[5], riprendendo le 3 E di Howard Gardner (excellence, engagement, ethics) la scuola ha oggi come compito la promozione della vita buona, secondo la triplice rotta della conoscenza delle regole del vivere civile, la disponibilità a mettersi in gioco in prima persona e la capacità di prendere la giusta decisione, tutto questo in un ambiente culturalmente ricco, tale da favorire lo studio sensato, il pensiero divergente e l’attitudine a interpretare la realtà secondo categorie critiche e responsabili.

Per altro, considerare il curricolo come un insieme elevato, o per meglio dire ampio, di conoscenze, costringe all’utilizzo praticamente esclusivo di lezioni frontali (il mezzo più rapido per trasmettere in modo sicuro grandi quantità di conoscenze e di controllarne la ricezione) e di risorse rigide, come il libro di testo. Considerare il curricolo come un set di competenze, da coltivare in un contesto culturalmente ricco, apre invece lo spazio alle dimensioni della ricerca, della collaborazione, della progettazione e produzione di oggetti culturali e professionali.

Occorre dunque togliere ogni equivoco a documenti come le Indicazioni Nazionali, esplicitando meglio che l’esito atteso dei processi educativi non consiste in un “programma”, ovvero in una scansione sequenziale di conoscenze e contenuti, ma in alcune (poche) competenze personali, culturali, sociali e professionali, alimentate in modo creativo e flessibile dal confronto con elementi di conoscenza e dal sostegno di alcune indispensabili abilità, sotto la scelta e la guida attenta dell’educatore.

Anche le prove finali (esami di qualifica e di maturità, come anche le valutazioni intermedie) dovranno essere ispirate da questa opzione, evitando di richiedere agli studenti prestazioni mnemoniche e standardizzate su ampi cataloghi di conoscenze seriali, ma stimolando la creazione attiva di prodotti culturali, da valutare con strumenti diversi (es. rubriche di competenza) rispetto ai tradizionali test.

Leggi tutti gli articoli relativi al documento di Franchini, “Una crisi da non sprecare. Partire, invece che ri-partire”, pubblicate su Tuttoscuola

Guardiamo al futuro: qualche idea per la scuola nuova
Coronavirus: una crisi da non sprecare. Partire, invece che ri-partire
La difesa contro l’educativo digitale
Uscire dalla crisi: il vaccino dell’educativo digitale


[1]
Un lavoro in questa direzione è in allegato al già citato volume di Franchini, 2016: Linee Guida per l’apprendimento attivo in presenza di tecnologie. Si tratta di un documento che è frutto di una Consensus Conference, e che riassume i cambiamenti necessari lungo quattro domini o ambiti: pedagogico, didattico, organizzativo e tecnologico. Cfr. https://www.cnos-fap.it/sites/default/files/pubblicazioni/leneeguida-apprendimento.pdf
[2] Cfr. European School Network (2017, Guidelines on Exploring and Adapting learning spaces in school, scaricabile dal sito http://files.eun.org/fcl/Learning_spaces_guidelines_Final.pdf
[3] Come è ormai universalmente noto, l’apprendimento esplicito delle competenze socio-emotive ha una ricaduta positiva sugli apprendimenti culturali, anche in presenza di un tempo ridotto dedicato a questi proprio per la presenza di ore specifiche dedicate allo sviluppo emotivo. Per un approfondimento si può vedere Durlak J.A., Weissberg R.P., Dymnicki A., Schellinger K. (2011), The Impact of Enhancing StudentsSocial and Emotional Learning: A Meta-Analysis of School-Based Universal Interventions, Child Development, 82 (1)
[4] RACCOMANDAZIONE DEL CONSIGLIO  del 22 maggio 2018 relativa alle competenze chiave per lapprendimento permanente, (2018/C 189/01). Per un approfondimento si può vedere Pellerey M. (2019), Le competenze chiave per l’apprendimento permanente e la costruzione dell’identità professionale. Terza parte: le competenze personali, sociali e imprenditoriali, in Rassegna Cnos 3, pp. 45-56
[5] Chiosso G. (2019), Educazione alla cittadinanza. Uno sguardo al passato, prospettive per il futuro, in Rassegna CNOS, 3, pp. 33-42