Coronavirus, una crisi da non sprecare: partire, invece che ri-partire

Di Roberto Franchini
Nei prossimi giorni Tuttoscuola pubblicherà nuove parti del documento di Franchini.

 Lo sguardo di dirigenti scolastici, insegnanti e pedagogisti è sempre più insistentemente rivolto al nuovo anno scolastico. Si tratta di ri-partire (ovvero di riproporre, con le dovute precauzioni, la scuola così com’era prima del coronavirus) o si tratta di partire, cercando una nuova rotta di cambiamento, che si muova su traiettorie pedagogiche, prima che igienico-sanitarie?

Insomma, il virus è soltanto un avversario formidabile, da combattere con le armi della prevenzione, o è anche un’occasione, un’opportunità per ripensare profondamente il modo di fare scuola?

Le istanze di cambiamento, in realtà, affondano le loro radici in un tempo anteriore all’emergenza: il COVID-19 può forse rappresentare, suo malgrado, un potente acceleratore di un positivo percorso di trasformazione.

L’evoluzione dei paradigmi scolastici

Nel parlare di cambiamento, è bene evitare di porsi sul terreno scivoloso delle mode pedagogiche e degli slogan didattici. In realtà, il rapporto tra insegnamento e apprendimento è la conseguenza di trasformazioni più profonde, che si giocano nell’ambito di come l’umanità nei suoi cicli storici organizza lo scambio di informazioni.

Ora, questo radicale aspetto sociologico è contrassegnato, secondo Floridi[1], da tre grandi fasi, che creano le scansioni per due grandi rotture paradigmatiche: la preistoria, la storia e l’iperstoria.

Il correlato pedagogico e “scolastico” delle tre fasi è da individuare in tre paradigmi:

  • l’educativo orale (preistoria)
  • l’educativo cartaceo (storia)
  • l’educativo digitale (iperstoria)

L’educativo orale, ovvero il paradigma educativo precedente all’invenzione della stampa, era contrassegnato da una relazione educativa “duale e forte”, in quanto connessa ad un modello tutoriale. Il passaggio dei saperi, in modalità orale, avveniva nel contesto del rapporto intenso tra tutore e apprendista, al più mediato dalla presenza di pochi e preziosissimi manoscritti.

I potenziali vantaggi di questo scenario sono facilmente immaginabili: l’intensità della relazione può facilmente creare fascino e scintilla, mentre la persona dell’apprendista è decisamente al centro della dinamica pedagogica (il tutore è poco più di un servo, assunto dall’aristocratico genitore).  I ritmi sono per principio calibrati in situazione, e le attività possono agevolmente essere accompagnate da pratiche informali, dal gioco al prezioso strumento del colloquio educativo.

Al contempo, i limiti del paradigma sono altrettanto evidenti: esso disegna una concezione profondamente elitaria dell’educazione, costosa e riservata a pochi. La natura aristocratica dell’educativo orale è ulteriormente confermata dall’inaccessibilità dei saperi, accessibili solo attraverso la mediazione del maestro e del sapiente.

E’ facile immaginare la rivoluzione culturale accaduta con l’invenzione della stampa. Essa, infatti, non contribuì semplicemente alla disponibilità delle informazioni, ma ne modificò profondamente la “distribuzione”: dalle modalità “produttive” della tradizione orale alle modalità “riproduttive” della tipografia.

Non è un caso che di lì a poco mutò radicalmente il modo di fare scuola, con l’avvento di quello che è possibile denominare l’educativo cartaceo: il rapporto tra insegnamento e apprendimento viene connotato da un nuovo pacchetto di strumenti e metodi, riconducibili a lezioni, libri, interrogazioni e voti. La relazione educativa si sfuma, spostandosi dal modello duale-tutoriale all’assetto frontale e cattedratico, che ancora oggi prevede la trasmissione efficiente dei saperi dall’insegnante ad un numero considerevole di alunni, posizionati nei banchi in una posizione che consenta loro di ascoltare e scrivere, riproducendo a loro volta i saperi.

Infine l’avvento di quella che Floridi in modo sagace denomina infosfera: gli studenti di oggi sono costantemente connessi e impegnati a interagire sui social network, portando con sé motivazioni e stili di apprendimento profondamente diversi da quelli di ieri.  Non migliori o peggiori, semplicemente diversi.

Ciò che ci attende, ben prima del Coronavirus, è il non facile impegno del ripensamento globale della relazione educativa, a partire da, ma ben oltre il fattore tecnologico, allo scopo di studiare entro quale scenario, e a quali condizioni/limitazioni, il cambiamento in atto possa andare a vantaggio dell’educazione di questa e delle prossime generazioni.

Se si è di fronte ad un cambiamento di paradigma, è necessario non semplicemente inserire le tecnologie dentro il modello attuale, ma trasformare il modello stesso. Non si mette vino nuovo in otri vecchi, altrimenti il vino nuovo spacca gli otri, si versa fuori e gli otri vanno perduti. Fuori dalla metafora evangelica, inserire le tecnologie e Internet dentro la classe tradizionale potrebbe essere un’operazione non solo inutile, ma persino pericolosa. Occorre uscire dal cosiddetto educativo cartaceo e trovare le costanti che definiscono il nuovo paradigma, l’educativo digitale.

Nei prossimi giorni Tuttoscuola ospiterà nuovi approfondimenti tratti dal documento di Franchini.

Leggi tutti gli articoli relativi al documento di Franchini, “Una crisi da non sprecare. Partire, invece che ri-partire”, pubblicate su Tuttoscuola

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[1]Floridi L. (2017), La quarta rivoluzione. Come linfosfera sta trasformando il mondo, Raffaello Cortina editore, Milano, 2017