Inserimento negli asili e nel nido, i genitori derubati del mese di settembre?

Ogni anno, alla ripresa di nidi e scuole materne, padri e madri sono chiamati a restare in classe almeno due ore al giorno per un paio di settimane, per evitare traumi ai bambini e consentire il loro “inserimento”, o come si chiama ora, “ambientamento” nelle classi. Il fenomeno è oggetto di un articolo, a firma di Vera Schiavazzi, che oggi il quotidiano La Repubblica dedica al fenomeno.

L’articolo spiega come questa pratica, regolata e resa obbligatoria (salvo buon senso) dai regolamenti comunali (e spesso anche in quelli delle scuole statali e paritarie), implichi la necessità, da parte dei genitori che lavorano, di erodere pesantemente il loro monte ferie. D’altra parte, l’indagine del quotidiano di piazza Indipendenza ricorda come in Italia non vi siano permessi specifici per le mamme e i papà che si assentano dal lavoro, e come l’inserimento al nido o alla scuola materna all’estero (in Gran Bretagna e Francia) non duri mai più di una settimana.

Sul tema dei numerosi genitori “ostaggi” dei tempi lunghi dell’inserimento dei bimbi, il ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini, interpellata oggi a Firenze, ha commentato: “Il processo educativo deve vedere famiglie e insegnanti uniti e non prigionieri oppure ostaggi presunti. Anche nel processo educativo maggiore autonomia si dà ai bambini, agli studenti, e maggiori risultati si ottengono: lo dico in generale ed è il tema di fondo“.

La senatrice democratica Francesca Puglisi, responsabile Scuola segreteria Pd e capogruppo in Commissione Istruzione a Palazzo Madama, ha invece collegato il tema con la riscrittura dello Statuto dei lavoratori che il Pd intende attuare: “Il rispetto dei tempi di crescita dei bambini e delle bambine è fondamentale per le prime fasi di inserimento nel processo educativo, ed è importante viverlo con i genitori. Il problema si scontra, come evidenzia l’indagine pubblicata oggi dal quotidiano ‘La Repubblica’, con i tempi di vita e di lavoro delle famiglie che lavorano con contratti sempre più precari, che non assicurano alcuna tutela della genitorialità. Quando affermiamo con forza che, dopo 44 anni, dobbiamo riscrivere lo Statuto dei lavoratori, è proprio perché vogliamo occuparci delle condizioni di vita reale degli uomini e delle donne del nostro paese, del loro diritto di essere genitori e dei diritti dei bambini alla cura e all’apprendimento“.