Dalla paura all’entusiamo: il primo giorno di scuola raccontato da una maestra

Di Veronica Caneva*

La notte prima ho dormito poco. L’agitazione è arrivata puntuale, come tutti gli anni, ma quest’anno in modo diverso. Rientriamo a scuola dopo sei mesi dall’ultimo incontro “vero” con i nostri ragazzi. Sì perché la DaD ci ha permesso, anche se con alcune difficoltà, di poter vedere i nostri alunni, ma è mancato quel contatto vivo, concreto, che non si può avere dietro ad uno schermo. Sono mancati gli abbracci, le carezze, è mancata la NOSTRA convivenza quotidiana (a volte non facile), quella quotidianità che un insegnante crea, giorno dopo giorno, con i suoi alunni e che improvvisamente ci è stata tolta.

In questo nuovo anno così particolare e delicato mi è stata affidata una quinta elementare.

Quest’anno più che mai il mio impegno sarà quello di mettere al centro i bambini e i loro bisogni ma soprattutto il gruppo. Dopo tutto questo periodo di solitudine forzata necessitano di riscoprire la bellezza e l’importanza di far parte di una grande macchina in cui ognuno di loro è un tassello indispensabile, irrinunciabile.

La mattina del primo giorno di scuolla numerose domande frullavano nella mia mente: come sarà? Ce la farò? Mi riconosceranno come la loro maestra? Mi ascolteranno? Riuscirò a gestire la classe?

Poi mi sono detta: “Veronica, tranquilla. Parti da qualcosa di bello”.

Dopo i saluti la mattinata sarebbe dovuta iniziare con la creazione di una valigetta di carta e di alcuni simboli ricchi di valore da inserire all’interno della nostra valigia e utili per accompagnarci nel nostro percorso di crescita. Alcuni di questi simboli erano: una mano, perché ci sarà sempre qualcuno pronto ad aiutarti; una matita per imparare; una gomma, perché a tutti gli errori c’è un rimedio. L’ultimo di questi era la farfalla. Una farfalla per spiccare il volo.

Quale modo migliore per introdurre e spiegare questi simboli se non raccontando l’esperienza vissuta pochi giorni prima a Barbiana con un gruppo di maestre?

Quindi, dopo esserci salutati con un “bentornati!” gomito-gomito, con gli occhi un po’ lucidi e grandi sorrisi sotto le mascherine, tutto è stato più semplice e bello, e siamo partiti.

Ho raccontato brevemente la storia di don Milani, il suo “esilio” a Barbiana, della sua rivoluzione nella scuola dell’epoca; abbiamo capito che ognuno di noi ha dei talenti che possono essere messi a disposizione degli altri, abbiamo scoperto l’importanza delle parole, la fortuna che abbiamo nel poter andare a scuola e infine abbiamo conosciuto il significato della parola scritta su quella porta della scuola di Barbiana “I CARE”, ovvero me ne importa, mi sta a cuore.

L’attenzione e l’interesse sono stati tanti e abbiamo deciso insieme di conoscere meglio la figura di don Milani e della Sua scuola e di far diventare anche un po’ nostro questo “I CARE”. Infatti da domani sarà appeso anche sulla porta della nostra classe, per ricordarci sempre che ci importa, ci stiamo a cuore.

Tutta l’agitazione, che fino a poco prima di iniziare viaggiava nel mio stomaco è improvvisamente scomparsa e si è trasformata in entusiasmo!

La mattinata è trascorsa così velocemente da non esserci accorti che il nostro tempo era già finito, era ora di tornare a casa.

Non mi resta che dire quindi “Bentornati ragazzi e GRAZIE per questo primo giorno di scuola. Ci vediamo domani!

*Maestra di V primaria, scuola Maria Immacolata di Pinerolo