DaD. Incontro Aprea, Curi, Bertagna coordinato da Tuttoscuola

DaD/2

Su iniziativa del Dipartimento Istruzione di Forza Italia, guidato dall’on. Valentina Aprea, si è svolto sabato 30 maggio un incontro online sul tema “La scuola come scholé nel post covid-19: due visioni a confronto”, moderato dal direttore di Tuttoscuola Giovanni Vinciguerra. Semplificando si può dire che le due visioni a confronto hanno riguardato le caratteristiche della scuola futura, quella che non solo l’Italia ma tutte le società contemporanee dovranno costruire, o ri-costruire, dopo che sarà stata definitivamente vinta la battaglia in corso contro il covid-19.

Nel webinar le due posizioni più distanti sono apparse quella sostenute dall’on. Aprea da una parte e quella del prof. Umberto Curi, autorevole storico della filosofia dell’università di Padova, dall’altra.

Per l’on. Aprea la DaD va vista come l’anticipazione di una scuola che ricorrerà sempre di più alle tecnologie, trasformando l’insegnante in un tutor dell’alunno che apprenderà in modo sempre più autonomo sia a scuola che da casa o in ambienti laboratoriali interni o anche esterni alle tradizionali strutture scolastiche. Serve una “formazione 4.0” adatta a ragazzi che “pensano e comunicano in modo diverso da tutte le generazioni precedenti”.  È questo il modello educativo più congeniale alle caratteristiche dei Centennials, ai quali ha dedicato il suo ultimo libro.

A questa posizione si è contrapposta quasi simmetricamente quella del prof. Curi, a cui giudizio la DaD, e più in generale la scuola digitale, finirebbe invece – sintetizzando il suo pensiero, molto più articolato – per ridurre il processo educativo alla sola dimensione dell’istruzione assistita da macchine, rompendo i ponti con una tradizione millenaria che si fonda sulla relazione diretta e personale tra il docente e gli alunni, e di questi tra di loro, che si può stabilire soltanto in classe e nelle aule universitarie. Opinione condivisa da Massimo Cacciari e da altri 15 accademici nella lettera aperta pubblicata da ‘La Stampa’, nella quale si muove una critica di fondo alla “intercambiabilità fra le due modalità di insegnamento – in presenza o da remoto”.

Curi ha accusato il Governo Conte di “negligenza sui temi della scuola, per una indebita sopravvalutazione degli strumenti tecnologici. Nessuno nega l’utilità e anche l’imprescindibilità delle risorse messe a disposizione dalla cultura digitale, né di impugnare il vessillo di una improbabile crociata antitecnologica, ma esattamente al contrario di riconoscere fino in fondo le potenzialità strumentali offerte dalle tecnologie, il loro poter essere utilissime come sussidio o complemento, ma mai come modalità esclusiva, o peggio ancora come finalità, dell’insegnamento”.

Diversa, ma non intermedia tra le due precedenti, la posizione assunta dal prof. Giuseppe Bertagna, docente di Pedagogia presso l’università di Bergamo. A suo giudizio per “Reinventare la scuola”, titolo di un suo instant book uscito da pochi giorni online, occorre “rompere il marchingegno buro-amministrativo-sindacale-organizzativo delle ‘classi’ e delle ‘sezioni’”, per passare ad un’organizzazione della scuola nella quale ogni docente sia “tutor personale di un gruppo contenuto di studenti” (nel libro ne propone 9) “per accompagnarli e orientarli in maniera personalizzata nel percorso formativo in presenza e soprattutto a distanza”. Una posizione più vicina a quella di Aprea per l’apertura alla scuola digitale e alla DaD ma anche sensibile alla esigenza segnalata da Curi di una stretta relazione personale tra docenti e discenti.

Bertagna ha però espresso anche un forte scetticismo sulla possibilità che queste sue idee possano essere accolte a causa della “autoreferenzialità” del Ministero e della “inerzia della storia”. Su questa venatura pessimistica del pedagogista, che in passato è stato membro di commissioni ministeriali per le riforme e consulente del ministro Moratti, ha forse pesato la memoria delle delusioni subite per il mancato accoglimento o l’insabbiamento delle sue proposte.

La possibile, intelligente sintesi tra DaD e DiP, fondata sul mantenimento di una salda relazione tra docenti e discenti, ha concluso Vinciguerra, sembra la via maestra da percorrere, ma è tutta da costruire.

Come abbiamo già scritto, siamo di fronte a un bivio: restare incanalati nell’attuale modello trasmissivo, disciplinarista, rigido, organizzato burocraticamente, o avere il coraggio di adottare metodologie didattiche innovative che pongano al centro l’apprendimento partecipato e coinvolgente e modelli organizzativi flessibili.

Qui sta il discrimine, non è tanto una questione di scelta tra didattica in presenza e a distanza, ma semmai di quale didattica e di quale organizzazione del servizio.

La modalità del fare scuola non può essere più la stessa. Sarà necessario fare delle scelte (tanto più se il tempo scuola da settembre sarà ridotto, almeno fino a quando non si uscirà dall’emergenza): la didattica per competenze non può più essere un’opzione, ma la risposta ad un bisogno di sapere sempre più trasversale; l’approccio didattico deve essere duttile, multidisciplinare e improntato alla relazione, a tutti i livelli.