Viaggio nella scuola finlandese. Diario di bordo/3. La responsabilità condivisa

Il sistema educativo finlandese visto da vicino
di Tiziana Rossi

L’ultimo giorno del viaggio si apre in un bosco silenzioso e pieno di luce: il Päiväkoti Kutomo, centro per l’infanzia nella municipalità di Helsinki, che accoglie bambini dai nove mesi ai cinque anni. Lo spazio, bilingue (finlandese e svedese), ospita circa 160 bambini nella sezione finlandese e una sessantina in quella svedese. La giovane direttrice Matilda Leppäniemi ci accoglie con la calma di chi guida un ambiente che si muove secondo il ritmo naturale dell’infanzia: senza campanelle, senza richiami, insegnanti che non rimproverano i bambini se, come tutti i bambini del mondo, giocano con l’acqua di una pozzanghera. Ma, non come in tutti i paesi del mondo, qui la ricreazione e molta parte della giornata scolastica sono all’aperto tra le betulle, sull’altalena o sui piccoli trattori o nella carrozzine a 4 posti, col solo limite dei meno 15 gradi per inibire l’uscita. Spostandoci all’interno, spicca la sensazione che la progettazione degli spazi e quella pedagogica coincidano: stanze ampie, angoli morbidi, legno chiaro e luce naturale. Tutto è pensato per “trasmettere le sensazioni positive della casa”, come spiega Leppäniemi. L’idea educativa si fonda sul gioco, sull’esplorazione e su quella che il National Core Curriculum for Early Childhood Education and Care definisce authentic presence: la presenza attenta, non invadente, dell’adulto. Ogni bambino deve sentirsi seen, heard and valued – visto, ascoltato e riconosciuto.

Anche in questo segmento, gestito dalla città di Helsinki, la fiducia è la chiave di volta: fiducia nei bambini, che sperimentano la loro autonomia già dai primi anni, e fiducia negli educatori, liberi di costruire percorsi personalizzati. È un modello che richiama l’idea di “benessere come competenza”, in cui lo sviluppo affettivo e quello cognitivo si intrecciano in una trama inseparabile.

Il prescolare come continuum educativo

In Finlandia l’educazione 0–5 non è un preludio alla scuola, ma una parte integrante del sistema educativo, ancorché non obbligatoria. L’anno di pre-school, a sei anni, segna l’ingresso nel percorso obbligatorio che arriva fino ai 18, ma già dai primi mesi i bambini sono accompagnati in esperienze che coltivano autonomia e cooperazione. Non esistono prove d’ingresso, né percorsi rigidi: ogni municipalità garantisce la qualità, ma la libertà professionale è totale.

Il confronto con l’Italia, in questa fascia, è spontaneo: anche da noi la cultura dei poli 0–6 e delle sezioni primavera sta cercando di superare la cesura tra nido e infanzia, ma la Finlandia mostra cosa accade quando lo sguardo pedagogico e quello architettonico si fondono in un unico progetto politico di cura. La policy naturalmente va letta nella chiave della conciliazione lavoro-famiglia: questo asilo è aperto dalle 6.30 alle 17, ma in Finlandia ne esistono di accessibili h24 e 365 giorni l’anno. Il tutto nel contesto della cultura nordeuropea che vede anche una maggiore collaborazione da parte del padre nell’accudimento dei figli. La direttrice sottolinea che sempre i giovani padri si prendono cura dei figli in questa fascia d’età e usufruiscono del congedo parentale insieme alla madre, come del resto è stato recentemente normato anche in Italia, in affannosa corsa ma oggi maggiormente allineata su alcune policy mirate alla parità tra i generi.   

HY+ e le “lessons learnt”

Il pomeriggio, all’Università di Helsinki, cambia il tono del viaggio. La delegazione trentina incontra di nuovo la focal point finlandese dell’intero progetto, guida del comitato scientifico nell’individuare le scuole più significative da visitare: Selja Saarialho, referente del HY+ Centre for Continuing Learning, per una riflessione collettiva sulle lessons learnt – le lezioni apprese in una settimana densa di incontri.

I dirigenti vengono invitati a lavorare per gruppi su differenze e somiglianze tra i sistemi scolastici finlandese e italiano, sorprese e applicazioni concrete possibili.
Tra le differenze, spiccano la riduzione del tempo scuola (che cresce con l’età), la flessibilità del curricolo, l’assenza di test standardizzati, la fiducia come sistema di governo, l’assunzione diretta di docenti e dirigenti da parte delle municipalità e la valutazione di sistema fondata sulle relazioni più che su controlli formali.

Le somiglianze sorprendono: l’attenzione al benessere degli studenti, il bisogno di sviluppo professionale dei docenti, le prime crepe nella reputazione sociale dell’insegnante, la presenza di studenti immigrati e di minoranze linguistiche in crescente bisogno di supporto, l’attenzione forte alle competenze di lettura e prosociali come focus di miglioramento nei prossimi anni.

Le sorprese colpiscono per la semplicità di alcune soluzioni creative e acute: il coinvolgimento degli studenti nei colloqui di assunzione dei docenti, la cura nelle transizioni (prescuola, anno di orientamento a 17 anni), la totale assenza di personale ausiliario assunto dalle scuole (le pulizie sono affidate di sera a ditte esterne), le porte chiuse delle classi come segno di fiducia e responsabilità individuale.

Le sfide del modello finlandese

Dietro la superficie levigata del “modello finlandese” affiorano ombre e tensioni. I dati PISA mostrano un calo nelle competenze di lettura e matematica; la crescente diversità culturale e linguistica richiede nuove strategie d’inclusione; le disuguaglianze tra centri urbani e aree periferiche si ampliano.

Il tema dell’inclusione resta particolarmente delicato: la riforma in vigore dall’agosto 2025 mira a integrare gli studenti con bisogni educativi speciali nelle classi ordinarie, ma il percorso è appena iniziato. La sfida è culturale prima che organizzativa — passare da un modello fondato sulla personalizzazione individuale a uno realmente inclusivo.

C’è poi la questione del reclutamento: la forte selettività universitaria, unita al costo della vita, sta rendendo meno appetibile la professione docente. La Finlandia, in sostanza, vive una “crisi di successo”: dopo decenni di ammirazione internazionale, deve ora reinventare la propria equità.

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