Vantaggi e limiti dell’Output Driven Approach

L’Output Driven Approach (ODA) è un approccio utilizzato nelle politiche sociali, e quindi anche in quelle educative, centrato sulla valutazione dei risultati, il cui esito orienta gli interventi dei decisori politici. I processi riformatori sono insomma guidati (driven) dall’output, dal ‘prodotto finale’, per esempio dai livelli di prestazione raggiunti dagli studenti a conclusione di un ciclo, verificati tramite test.

Di questo argomento, altamente controverso, tratta con competenza Giorgio Allulli nel n. 3 della rivista quadrimestrale Scuola Democratica, diretta da Luciano Benadusi. Vengono elencati i punti di forza e gli aspetti problematici di tale approccio: da una parte, per esempio, taluni miglioramenti, soprattutto in matematica e scienze, registrati dagli studenti di alcuni Paesi che l’hanno adottato, dall’altra l’impoverimento della didattica, concentrata sull’obiettivo del superamento dei test a scapito di una formazione più aperta e critica.

Sul tema, trattato in questo numero della rivista anche da Giorgio Israel, Daniele Checchi e Bruno Losito, il dibattito nazionale e internazionale è assai acceso, e ciò consiglia, scrive Allulli, di “mantenere un approccio molto accorto nell’utilizzare l’Output Driven Approach, facendo molta attenzione ai rischi evidenziati e valorizzandone gli elementi positivi (maggiore consapevolezza esterna e interna del rendimento delle scuole, possibilità di incentivarne l’impegno e di sostenere le scuole in difficoltà).

Soprattutto gli strumenti e le metodologie che si rifanno all’ODA non devono essere utilizzati per “distribuire semplicisticamente premi e punizioni”, ma “come elementi del governo strategico del

sistema scolastico, in grado di valorizzarne i punti di forza, di sostenerne le aree critiche e di promuovere la progressione professionale dei docenti integrando valutazioni quantitative e qualitative, nella consapevolezza della validità e dei limiti degli strumenti disponibili per valutare i risultati raggiunti”.