Uscire dalla crisi: il vaccino dell’educativo digitale

Di Roberto Franchini
Pubblichiamo di seguito una nuova parti del documento di Franchini “Una crisi da non sprecare. Partire, invece che ri-partire”.

La questione dunque diventa: trovato il vaccino la scuola sarà automaticamente guarita, e dunque autorizzata ad andare avanti esattamente come prima?  O anche la scuola ha bisogno di un vaccino, che guarisca altre endemiche malattie, come la noia, la ripetitività e l’insignificanza?L’educativo digitale rappresenta un potente vaccino per rendere la scuola e i suoi abitanti immuni da un’emergenza che ha luogo da qualche decennio, e che consiste nel diuturno protrarsi dell’educativo cartaceo nel tempo dell’educativo digitale, stasi che produce le anomalie della demotivazione e del senso di inutilità, quando non il ritualismo acritico e dottrinale. 

Questo vuol dire che il digitale rende la scuola efficace? La risposta è no. Non è lo strumento (media) che rende efficace l’insegnamento. Paradossalmente, l’educativo digitale può essere realizzato anche senza l’aiuto dei nuovi media: la scuola flessibile, non standardizzata e capace di personalizzare è stata messa in atto da grandi educatori, come don Milani, anche in assenza di tecnologie. Al contrario, è vero anche che le tecnologie possono essere usate per replicare la didattica tradizionale, ignorando la rottura paradigmatica che esse in qualche modo richiedono.

L’approccio tradizionale, infatti, si dimostra molto resistente, anche durante l’emergenza: mentre gli studenti sono a casa e apprendono a distanza, alcuni docenti tendono a replicare lezioni e contenuti che avrebbero tenuto a scuola, e che ora si sforzano di organizzare online, attraverso la cosiddetta modalità sincrona. Le principali indicazioni ministeriali e regionali durante l’emergenza raccomandano la modalità sincrona, considerando quella asincrona come una modalità secondaria, e poco consigliabile. La modalità sincrona del webinar, infatti, consente l’esatta e probabilmente folle replicazione dell’orario scolastico, fatto di un caleidoscopio di numerose discipline nell’arco di tempo di una sola mattinata: sullo sfondo l’inveterata esigenza del controllo, oltre che della trasmissione lineare delle conoscenze.

A ben vedere, la modalità asincrona avrebbe potuto invece rappresentare un’opportunità per attivare gli studenti, consentendo loro di lavorare a progetti e compiti di realtà secondo i loro ritmi, modalità e tempi, interagendo, attraverso i molteplici canali offerti dai nuovi media, non solo con i propri docenti, ma anche con altri adulti significativi, con i compagni e con altri potenziali partner di apprendimento.

Insomma, la scuola piega la tecnologia ai suoi scopi e modalità consueti, invece di interrogarsi sul potenziale trasformativo che la tecnologia reca, potendo rendere la scuola più feconda nei suoi fini educativi più autentici. Da sottolineare a questo proposito la già proposta classificazione del rapporto tra tecnologia ed educazione fatta da Puentedura, nell’ambito del cosiddetto modello SAMR (Substitution Augmentation Modification Ridefinition). Il ricercatore espone quattro possibili modalità di integrazione della tecnologia nella didattica, due delle quali semplicemente migliorative (sostituzione e potenziamento), due invece di carattere trasformativo (modificazione e ridefinizione)[1].

Nelle cosiddette modalità migliorative, la tecnologia è usata per svolgere le medesime routine che venivano perseguite in sua assenza. L’insegnamento rimane centrato sul docente, che guida ogni aspetto della lezione. Nelle modalità trasformative, la tecnologia è usata immaginando nuove situazioni formative prima inconcepibili, spostando l’attenzione sul prodotto da realizzare, e mettendo decisamente lo studente al centro delle attività di apprendimento, rendendolo più curioso e intraprendente.  La collaborazione diventa necessaria, e la tecnologia la rende possibile in modi flessibili e variati. Le interazioni e le discussioni sono sempre più spesso generate dagli studenti, per loro stesse esigenze di apprendimento e scoperta.

Nell’esaminare questa modalità, come già affermavo nel 2016, risulta persino discutibile l’utilizzo dell’aggettivo “migliorativo” applicato ai primi due livelli del modello SAMR: un utilizzo della tecnologia senza un’idea pedagogica che lo ispiri e lo guidi rischia davvero di peggiorare l’efficacia dei sistemi scolastici, come anche l’esperienza attuale di didattica a distanza probabilmente in qualche modo riuscirà a dimostrare. C’è davvero da chiedersi come mai la tecnologia ha trasformato settori interi della società e dell’economia, come ad esempio l’agricoltura e il commercio, e non ancora la scuola, che tende invece ad assimilarla, in qualche modo a digerirla.

Come scriveva lo stesso Yong Zhao in un testo profetico, pubblicato ben prima dell’emergenza del Coronavirus, una crisi dell’educazione è una cosa terribile da sprecarsi! Durante la crisi il compito del mondo dell’educazione non è solo quello di trovare un rimedio temporaneo, ma di trarre da essa ciò che è duraturo, in termini di cambiamento del sistema educativo.

Per approfittare di questa crisi l’educazione deve mantenere (rintracciare? riguadagnare?) il suo primato, a guida di un fenomeno in fondo “neutro” come quello della tecnologia. Già Heidegger aveva denunciato, in ambito filosofico, i rischi di una technè svincolata dall’umano. Se è vero che la tecnologia, specie quando provoca cambiamenti paradigmatici, stimola una riflessione, ed anche una trasformazione, sugli e degli stili educativi, è vero anche che senza mediazione pedagogica la tecnologia può rivelarsi più un pericolo che un fattore di sviluppo. Ma è vero anche, sempre citando Heidegger, che là dove c’è pericolo c’è anche la salvezza: senza il pericolo della tecnologia e del virus, la scuola sarebbe probabilmente rimasta identica, mentre gli studenti no.

Insomma, è ovvio che occorre tornare a scuola, ma nelle stesse modalità precedenti?  In realtà, l’attuale contingenza può rappresentare un’opportunità straordinaria, per ripensare le variabili del cosiddetto curricolo implicito: spazi, tempi, raggruppamenti. Già nella citata pubblicazione si era espressa la speranza che, laddove aveva almeno parzialmente fallito la parenetica pedagogica, avrebbe potuto riuscire il fattore tecnologico: i nuovi media, infatti, richiedono mutamenti radicali nel modo di concepire il rapporto tra insegnamento e apprendimento. Ora, a quattro anni di distanza, l’emergenza pandemica può funzionare da inedito amplificatore (o acceleratore) del cambiamento, certamente partendo da motivazioni igieniche, ma raggiungendo ben presto il piano delle istanze pedagogiche e didattiche.

Insomma, se  il COVID-19 ci ammonisce dicendoci che la didattica tradizionale è pericolosa, perché impedisce il distanziamento sociale, il cambiamento di paradigma ci dice qualcosa di più forte e radicale: la scuola tradizionale è moribonda, perché ostacola la creatività, la collaborazione e la personalizzazione.

Leggi tutti gli articoli relativi al documento di Franchini, “Una crisi da non sprecare. Partire, invece che ri-partire”, pubblicate su Tuttoscuola

Guardiamo al futuro: qualche idea per la scuola nuova
Coronavirus: una crisi da non sprecare. Partire, invece che ri-partire
La difesa contro l’educativo digitale

[1] Cfr. Hamilton E.R., Rosenberg J.M., Akcaoglu M. (2016), The Substitution Augmentation Modification Redefinition (SAMR) Model: a Critical Review and Suggestions for its Use, TechTrends, 433–441