Trump, gli USA tra populismo e neoisolazionismo

Il versante interno della scelta di disimpegno a livello internazionale annunciata da Trump è il populismo, che negli USA si manifesta come difesa dell’identità profonda del popolo americano, identificata con quella espressa dalla componente bianca – o anche di altro colore purché pienamente integrata – di quella popolazione che nel dopoguerra è stata e si è percepita come protagonista del grande sviluppo economico del Paese.

È soprattutto questa parte della popolazione americana che negli ultimi anni è stata messa in crisi dalla concorrenza internazionale, dall’immigrazione, dalle nuove tecnologie che hanno messo fuori mercato milioni di colletti blu, dalle tasse con le quali è stato finanziato l’impegno internazionale, militare e non, degli USA.

È la protesta contro tutto questo, e la speranza di tornare indietro, all’America felix di prima della grande crisi del 2008 e di prima della globalizzazione e liberalizzazione dei mercati della produzione, del lavoro e dei commerci, che ha portato Trump al successo. Parole d’ordine: stop all’immigrazione, meno tasse, rilancio della produzione industriale anche nei suoi aspetti obsoleti (ritorno al carbone), misure protezionistiche e politiche sociali conservatrici, dall’abolizione (o profonda revisione, come ha detto dopo l’elezione) del servizio sanitario introdotto da Obama alla retromarcia sui diritti civili. È in questo quadro di un’America che cerca il suo futuro nel suo passato che si inserisce una visione della politica scolastica tutta centrata sulla libertà di scelta delle famiglie, in chiave apertamente neoconservatrice, come vediamo della notizia successiva.