Telegrammi in posta per supplenze. Difficoltà insormontabili per le scuole

Messe in guardia dagli ex provveditorati, le scuole – armatesi di pazienza – nei giorni scorsi hanno cominciato il loro pellegrinaggio al vicino Ufficio postale, ma hanno avuto una brutta sorpresa: i telegrammi si pagano in contanti o niente.
Le istituzioni scolastiche hanno sì un conto postale, ma per i telegrammi non è utilizzabile: occorre l’euro in contanti pronta cassa.
E allora? Sembrerebbe solo una delle solite incomprensibili complicazioni burocratiche, con le quali è abituato a convivere chi gestisce un istituto scolastico. Poco male. E invece no, l’obbligo di pagare in contanti diventa una difficoltà insormontabile: le scuole infatti non possono maneggiare contante, se non per minute spese che sono dell’ordine di qualche decina di euro e, quindi, non sufficiente.
Un caso di quotidiana normalità, verificato da Tuttoscuola: un istituto laziale (ma può valere per tutte le regioni) si presenta alle Poste per pagare 14 telegrammi (utili per nominare due supplenze e mezzo!). Costo 90 euro, che la dirigente scolastica anticipa personalmente in attesa che la segreteria incassi il reintegro per minute spese.
Ma non sarà possibile reintegrare quotidianamente, anche perché a quel ritmo, quella scuola (una sola) in un mese può tranquillamente arrivare a sborsare 2 mila euro in telegrammi. In un anno….
Se non cambiano le regole per questa procedura… del vuoto (su 14 telegrammi vi sono state solamente tre risposte di accettazione e 11 di rinuncia, pari quasi all’80% dei consultati) le segreterie delle scuole e le attività delle classi rischiano la paralisi.