Sulla proposta leghista l’anatema della Flc Cgil

La proposta leghista di introdurre test per i professori sulla conoscenza della cultura e del dialetto regionale sta facendo incetta di commenti presso le segreterie dei partiti e dei sindacati, a volte liquidata con battute ironiche, alle volte prese molto sul serio.

Appartengono a quanti non rinunciano alla battuta il ministro dell’Attuazione del programma Gianfranco Rotondi, che vorrebbe proporre alla collega Gelmini “l’introduzione del napoletano in tutte le scuole“, e il responsabile educazione del Pd Giuseppe Fioroni, che invita il ministro dell’Istruzione a non fare come il “Sor Tentenna” con la Lega. Ma l’ironia termina qui.

In “difesa della serietà della scuola“, il precedente ministro chiede all’attuale di intervenire “con chiarezza e non cercando di conciliare l’impossibile. La scuola non è un teatrino da usare per patetiche riedizioni di guerre secessioniste fra nordisti e sudisti ed è invece il luogo dove educare la futura classe dirigente di questo Paese“.

Chi prende la proposta leghista molto sul serio è invece la Flc Cgil, che diffonde sul sito un comunicato durissimo, che include anche critiche al ddl Aprea.

Il disegno di Legge Aprea – spiega il segretario del sindacato Domenico Pantaleo – si muove nella logica della regionalizzazione, nel nome di un falso federalismo, del “sistema nazionale d’istruzione penalizzando le aree più deboli del Paese“, “prevedendo l’aziendalizzazione delle scuole con forme di reclutamento attraverso graduatorie regionali“.

L’affondo dell’organizzazione di via Leopoldo Serra è però tutto diretto contro l’iniziativa leghista: “In tale contesto, fatto di continui attacchi del tutto falsi alla preparazione e alle capacità degli insegnanti del sud, mortificando la loro dignità di persone prima ancora che d’insegnanti, s’inserisce l’emendamento delirante della Lega“. Secondo la Flc Cgil sarebbe in atto un vero e proprio attacco agli insegnanti del sud, e, pur di discriminarli, “si arriva ad affermare che contano più la conoscenza delle tradizioni e del dialetto che i titoli di studio quasi che alla bambine ed ai bambini, alla ragazze ed ai ragazzi bisognerebbe insegnare non la cultura, la storia e la lingua del nostro Paese ma i dialetti territoriali“.

Il comunicato quindi conclude: “Ci sarebbe da ridere se non per il fatto che siamo di fronte a qualcosa di tremendamente pericoloso per la civiltà del nostro Paese che non merita questa deriva regressiva“.