Smartphone sì o no? Di Donato: ‘Serve una mediazione’

È sempre vivace, a livello nazionale e internazionale, il dibattito sull’uso degli smartphone da parte dei giovani a scuola, a fini didattici, ma anche fuori della scuola con le infinite altre utilizzazioni che l’impetuoso sviluppo delle tecnologie online oggi consente.

In molti Paesi si è deciso di vietarne l’uso a scuola almeno fino a 14 anni (in qualche caso anche oltre), e questa è stata la decisione presa anche in Italia dal ministro del MIM Valditara tramite la circolare, emanata l’11 luglio 2024, in vista dell’avvio dell’anno scolastico 2024/2025, che dispone “il divieto di utilizzo in classe del telefono cellulare, anche a fini educativi e didattici, per gli alunni dalla scuola d’infanzia fino alla secondaria di primo grado, salvo i casi in cui lo stesso sia previsto dal Piano educativo individualizzato o dal Piano didattico personalizzato, come supporto rispettivamente agli alunni con disabilità o con disturbi specifici di apprendimento ovvero per documentate e oggettive condizioni personali”.

Una decisione giudicata insufficiente da coloro che il 10 settembre hanno promosso un appello, diffuso su change.org (tra i promotori anche alcuni pedagogisti), che chiede al governo “di impegnarsi per far sì che nessuno dei nostri ragazzi e delle nostre ragazze possa possedere uno smartphone personale prima dei 14 anni e che non si possa avere un profilo sui social media prima dei 16”.

A questa quasi demonizzazione dello smartphone si oppongono coloro che, al contrario, pensano che esso faccia parte di un nuovo mondo digitale pervasivo e immersivo che è l’habitat naturale delle nuove generazioni, e che quindi non debbano essere posti limiti al suo uso sempre e ovunque. Alla quasi demonizzazione si contrappone una quasi deificazione.

Due strade sbagliate, secondo Daniela Di Donato, Docente di italiano (Liceo scientifico), PhD in Psicologia sociale, dello sviluppo e della Ricerca educativa presso Sapienza Università di Roma, esperta di metodologie didattiche, inclusione e uso delle tecnologie digitali a scuola, che in un serrato articolo pubblicato su agendadigitale.eu, sostiene che la strada giusta è quella della mediazione, “anche se è la più  impegnativa”: serve innanzitutto “un dialogo e un confronto costante e coerente innanzitutto tra genitori e figli, per concordare le prassi legate all’uso dei dispositivi digitali”; e poi serve che la scuola svolga un ruolo attivo di educazione al corretto uso dei media, di tutti i media, compreso lo smartphone. Nel suo articolo Di Donato cita alcuni progetti particolarmente efficaci in materia di media education. Occorre educare, non vietare.

L’errore peggiore infatti sarebbe proprio quello di vietare: “Rendere l’uso delle tecnologie digitali un’attività clandestina, segreta, lontana da ogni spazio di dialogo e condivisione è la strategia migliore per avere la certezza che ogni adolescente del pianeta farà a gara per avere uno smartphone in mano e lo userà senza consapevolezza”.

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