Sindacati e Azzolina sul DEF: la scuola perde gli investimenti promessi
Il Def rivede al ribasso le stime sull’impatto macroeconomico del PNRR: il PIL nel 2026 salirà grazie alle riforme di 3,2 punti percentuali, invece dei 3,6 stimati quando venne presentato il piano ad aprile dello scorso anno. Un calo di 0,4 punti dovuto a posticipi di spesa e ad una “meno rapida dinamica del cronoprogramma di spesa”, come riferisce l’ANSA.
A pagare il prezzo di questo drastico ribasso delle prospettive di crescita dell’economia italiana sarà ancora una volta il settore dell’istruzione, che in sei mesi perde lo 0,5% sul PIL, passando dal 4% al 3,5% nell’arco temporale del DEF 2022-2025 (mentre la media europea della spesa pubblica per l’istruzione, che era del 4,7% prima della guerra, potrebbe ridursi, ma in misura meno consistente).
Immediate e aspre le critiche dei sindacati, ma anche dell’economista Carlo Cottarelli e di un’esponente importante della maggioranza, l’ex ministro Lucia Azzolina, che considera “un grave errore” la “prevista riduzione progressiva della spesa sull’istruzione”.
Secondo Pino Turi, segretario della Uil scuola, “Nel documento di economia e finanza (DEF) varato dal Governo Draghi alla scuola resta la certezza della proroga per l’intero anno scolastico dell’organico Covid ma non si guarda oltre” visto che “passata l’emergenza si torna alla situazione precedente, tagli di spesa e classi affollate”. In questo modo la “musica”, secondo Turi, resta la stessa, quella del neoliberismo, che “pensavamo, a torto, avesse mostrato tutti i suoi limiti dopo la pandemia e la guerra”.
Molto critica anche la Flc Cgil, il cui segretario Sinopoli ha lamentato che si sia scelto di aumentare le spese militari anziché “affermare quelle che sono le vere priorità del Paese, in primo luogo l’istruzione e la ricerca”.
Rino Di Meglio, coordinatore della Gilda degli Insegnanti, chiede polemicamente se l’Italia vuole ghettizzare oppure integrare e, dunque, investire sulla scuola, che rappresenta la prima frontiera dell’integrazione culturale e sociale delle migliaia di alunni stranieri. “Se si rinuncia a questa missione, avremo un Paese con periferie ridotte a ghetti e costretto ad aumentare la spesa per l’ordine pubblico e per le carceri. Un Paese che non coltiva l’istruzione delle future generazioni è un Paese destinato a una lenta agonia e alla decadenza”.
I sindacati ricordano che va anche affrontata urgentemente la questione del finanziamento necessario per il rinnovo del contratto. “Quello attualmente previsto”, dice Pino Turi, “copre a mala pena l’inflazione, che colpisce stipendi che in termini di potere d’acquisto sono già tra i più bassi nel settore pubblico”.
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