Sentenza GAE diplomati magistrali: cane non morde cane, invece …

Oltre all’esito finale della sentenza, c’era anche l’attesa di sapere come il Consiglio di Stato avrebbe giudicato se stesso, visto che, dopo un primo stop del 2013, nel 2015 una Sezione dello stesso Consiglio aveva dato il via libera all’iscrizione in GAE dei diplomati magistrali da cui era arrivata, se pur con riserva, l’ammissione in massa di nuovi iscritti.

L’adunanza plenaria del Consiglio non è stata ambigua o sfuggente: “La tesi accolta dalla sentenza del Consiglio Stato, Sezione Sesta, n. 1973/2015 (e seguita dalla successiva giurisprudenza amministrativa che ad essa si è uniformata) non merita condivisione.”

La bocciatura è perentoria, senza attenuanti: la Sezione sesta ha sbagliato.

E questa in sintesi la motivazione: “Essa, infatti, si fonda su un presupposto erroneo, ovvero che il termine per proporre ricorso giurisdizionale … decorra non dalla piena conoscenza del provvedimento e dei suoi effetti lesivi … ma dal momento in cui, in sede giurisdizionale, viene accertata l’illegittimità dell’atto lesivo …”.

Quella sentenza avrebbe così l’effetto di rimettere in termini tutti coloro che non hanno impugnato nei termini di decadenza i provvedimenti di esclusione o, addirittura, non hanno presentato neanche una tempestiva domanda di inserimento. Verrebbe in tal modo riaperta una serie indefinita di rapporti amministrativi, sebbene già “esauriti”. La “pretesa” di quella sentenza di riaprire i termini di presentazione delle domande è infondata: Si tratta di una tesi non condivisibile.

Essa, infatti, porterebbe all’inaccettabile conclusione che il termine per impugnare un provvedimento decorra solo dal momento in cui in sede giurisdizionale (o di ricorso straordinario) viene accertata la sua illegittimità, con la conseguenza che l’accoglimento di un ricorso (anche avvenuta a distanza di anni dall’adozione del provvedimento lesivo) rimetterebbe tutti i cointeressati che non hanno tempestivamente impugnato in termini per proporre a loro volta il gravame.

Una posizione così radicale è del tutto estranea al dibattito dottrinale e giurisprudenziale sull’individuazione del dies a quo del termine per proporre ricorso giurisdizionale.

Chi sperava nel detto che “cane non morde cane” è rimasto deluso: il Consiglio di Stato ha avuto il coraggio di correggere un proprio errore, smentendo una propria Sezione, attraverso il massimo organo interno, l’adunanza plenaria.