di Tiziana Catenazzo
Questo articolo, pubblicato sul numero di ottobre 2016 di Tuttoscuola e qui riadattato alla dimensione informatica, presenta le riflessioni di Tiziana Catenazzo, Dirigente Scolastica esperta di Scuola in ospedale.
Alunni in ospedali e alunni con BES
In generale, gli alunni che usufruiscono del Servizio di Scuola in Ospedale non sono alunni con handicap e non sono alunni con BES e non possono essere considerati tali, fatte le dovute eccezioni. Ciò per il semplice fatto che si tratta di bambini e ragazzi malati. La malattia (che è cosa ancora diversa dalla disabilità, dai deficit tecnicamente intesi) non è un bisogno educativo speciale. È malattia. E all’alunno comporta una serie di pregiudizi che la Legge evidenzia e per i quali la legge prevede già garanzie adeguate.
La legge
Rispetto allo studio, la legge riconosce anche al bambino ammalato e ricoverato in ospedale, di avvalersi del servizio scolastico. La malattia e il ricovero funzionano spesso da reagente chimico, mettendo in luce una serie di dinamiche e di questioni irrisolte, anche da parte degli insegnanti. Dinamiche che spesso accentuano il disagio, anziché contenerlo. È probabilmente banale constatarlo, ma forse vale la pena riconsiderare quanto sia seria e irreparabile, nel nostro vivere sociale, la divisione fra il ruolo affettivo dell’adolescente e il ruolo sociale dello studente: quando incombe la malattia, tutto viene capovolto. I comportamenti attesi e le prerogative di ruolo, dello studente, vengono drasticamente sconvolte e scardinate dalla malattia. D’un tratto, lo studente malato torna ad essere ‘solo‘ un adolescente: i diritti acquisiti – come il diritto allo studio – sembrano allontanarsi dalla sua portata e attenuarsi, impallidire.
Ma ecco la scuola in ospedale, che rappresenta una svolta significativa e l’implicita riacquisizione e riappropriazione dei diritti di studente – indeboliti dall’urgenza delle cure (in questo, soprattutto, la scuola in ospedale rappresenta modalità di intervento positivo e normalizzante).
Difficoltà e diritti
Si considerano in genere con poca attenzione, ancora, le difficoltà che la malattia genera alla classe di appartenenza dell’alunno che entra a sua volta in crisi perché costretta a modificarsi, a riflettere in maniera non banale sulla malattia. Il segmento probabilmente più esile, più rischioso, del nostro lavoro, è costituito dal rapporto con le classi di appartenenza. Dovremmo lavorare di più, e meglio, sulla comunicazione con le classi esterne, alle quali appartengono i ragazzi, e non dare per evidenti determinati costrutti, al fine di faremergere i bisogni educativi specialidella classe. La malattia di un alunno genera bisogni educativi diversi da parte della classe.
Spesso, rispetto ai diritti (e ai bambini soggetti di diritti) si fa confusione e si adoperano definizioni non appropriate. Ma è quanto mai importante problematizzare correttamente e non etichettare e stigmatizzare. Semplificare uno status particolare – una malattia spesso grave – etichettandolo, impedisce di spiegarne la complessità, e elaborare un intervento integrato di cura, in un contesto molto specifico.
Poiché la malattia è uno dei più formidabili esimenti sociali, che allontana in maniera tremenda il malato dalla vita e dagli affetti e dalle sue abitudini, la scuola ha un’enorme responsabilità educativa e formativa. Per l’alunno malato, come per gli adulti di riferimento, e il gruppo dei pari. Ecco qui, l’importanza della professionalità relazionale richiesta al docente ospedaliero, che consiste nella possibilità di fornire un supporto concreto, sia cognitivo che emotivo, all’altro nella capacità di comprendere, capire, e assumere responsabilità all’interno della relazione. È esattamente in questo che consiste la ‘presa in carico’ dell’alunno malato da parte del docente ospedaliero. Il docente ospedaliero diminuisce la distanza fra l’ospedale e la scuola dell’alunno, fra la malattia e la salute, e la distanza fra le convinzioni culturali ed educative (implicite o esplicite) della famiglia e della scuola, in fatto di malattia.
Il docente ospedaliero
Il docente ospedaliero è la figura più adeguata in grado di favorire il senso di appartenenza (corresponsabilità emotiva ed educativa) e la costruzione condivisa del processo di guarigione (e/o di apprendimento).
L’approccio ai diritti umani ha come corollario la modularità della risposta ai bisogni, la cui soddisfazione determina l’effettivo godimento del diritto. Ma non sempre rispondere ai bisogni significa soddisfare un diritto, e viceversa!Un approccio basato sui diritti e l’inclusione è tipico della Scuola in Ospedale, che realizza nel quotidiano (da circa una cinquantina d’anni) interventi integrati.
Nella prospettiva dei diritti, ogni bambino ha gli stessi diritti, ma ogni bambino ha bisogni diversi, in relazione alle proprie abilità, al luogo dove è nato, alla situazione politica, economica, sociale, culturale dove vive. Alla malattia che malauguratamente gli capita. I bisogni dei bambini malati non sono ‘speciali’, sono specifici della sua persona e vanno valutati caso per caso nell’ottica della realizzazione del suo superiore interesse. La dimensione del diritto all’istruzione – che è proprio del soggetto in formazione in tutti i contesti e situazioni di vita in cui si trovi – non può venire sminuita in un bisogno, che potrebbe eventualmente anche non essere soddisfatto. E ai docenti, rischia di attribuire una funzione non essenziale e specifica, ma ‘speciale’ e occasionale, aggiuntiva, di supplenza rispetto all’ordinarietà del diritto all’istruzione.
La scuola in ospedale è un diritto del bambino malato che lo Stato deve garantire. Non ha soltanto diritto a studiare; ha diritto a studiare ciò che studiano i suoi compagni e in un contesto formativo, di crescita e di responsabilizzazione, in un ambiente di apprendimento il più possibile sano.
Se la scuola in ospedale viene letta e comunicata come una possibilità, una risposta a un possibile bisogno e non è invece espressamente dichiarato come un diritto del quale gli alunni malati possono e devono avvalersi (con le dovute eccezioni), allora nessuno dovrà impegnarsi a migliorare le condizioni di vita dell’alunno malato, che in larghissima parte dipendono dalla continuità educativa e scolastica, oltre che dalle continuità delle cure. L’accentuazione del bisogno, anziché del diritto, de-responsabilizza. Aprirà le porte ai privati e all’assistenzialismo, che già nella sanità è fortemente presente e che lentamente ma potentemente si sta insinuando nella scuola.
E allora, in chiusura, un banale sillogismo (o forse una provocazione): se siamo sicuri, come lo siamo, che la scuola sia parte imprescindibile del protocollo di cura, metterla in discussione, per com’è strutturata, non significherà modificare la cura rischiando di pregiudicare il processo terapeutico e quindi accentuare la crescita delle diseguaglianze di salute?
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