Scuola, i numeri da cambiare: ascensore sociale bloccato da oltre 20 anni. E il futuro si gioca alle medie

A dieci anni dall’ultimo rapporto “Scuola, i numeri da cambiare”, redatto da Fondazione Rocca in collaborazione con l’Associazione TreELLLe, i principali indicatori dell’analisi non sono cambiati. “Stagnante immobilismo negli ultimi 20 anni” è l’espressione che meglio descrive lo stato della scuola italiana e che pone questa istituzione lontano dalle classifiche internazionali della qualità del sistema educativo.  L’analisi del volume si concentra sulla scuola primaria e secondaria dove i dati mostrano che le debolezze del modello educativo finiscono per amplificare diseguaglianze e disparità sociali. Con il risultato che da oltre 20 anni si è bloccato quell’ascensore sociale che dava speranza di cambiamento economico anche ai meno abbienti, e si è allargata la forbice tra Nord e Sud. “Chi ha la fortuna di nascere nella regione giusta o in una famiglia colta e benestante – spiega il rapporto della Fondazione – può ottenere molto dalla scuola e costruire un bagaglio con cui farsi strada all’università e nel mondo del lavoro. Gli altri, per lo più, rischiano di finire ai margini di una società che dipende sempre più dalla conoscenza”. 

Con l’obiettivo di aprire il dibattito sulla scuola, alla presentazione del libro moderata da Ferruccio De Bortoli sono intervenuti rappresentanti del mondo delle istituzioni, della cultura e dell’impresa: Giuseppe Valditara, Ministro dell’Istruzione e del Merito, Carlo Bonomi, Presidente Confindustria, Andrea Gavosto, Direttore Fondazione Agnelli, Attilio Oliva, Presidente Associazione TreELLLE e Francesco Profumo, Presidente Fondazione Compagnia di San Paolo. Hanno dato il loro sostegno all’iniziativa Giorgio Parisi, Premio Nobel per la Fisica e Vice Presidente Accademia Nazionale dei Lincei, e gli imprenditori Luca Cordero di Montezemolo e Brunello Cuccinelli.

«I numeri ci dicono che veniamo da 20 anni di immobilismo della scuola, mentre l’età media del nostro Paese è in aumento e assistiamo a un drastico calo demografico – spiega Gianfelice Rocca, Presidente di Fondazione Rocca –. In questa situazione, cambiare la rotta del “transatlantico scuola”, con i suoi 800mila membri dell’equipaggio, gli insegnanti, e 8 milioni di passeggeri è un’emergenza nazionale e deve essere un impegno comune. La sfida, ci dicono i dati, è organizzativa più che economica: necessita un profondo ripensamento di ruoli, gestione delle risorse e percorsi di carriera. Le quattro Fondazioni riunite oggi mettono a disposizione del Paese un patrimonio di dati prezioso che, auspichiamo, possa essere alla base delle future riforme».

La scuola italiana: un modello del Secolo scorso

Spesso si pensa che il problema sia la mancanza di risorse: in effetti, la spesa italiana per la scuola in rapporto al Pil è bassa, appena il 4%, contro una media europea di circa un punto superiore. Ma, secondo il rapporto, è la spesa per studente il dato da considerare in questo contesto, e quest’ultimo è in linea con la media europea, e superiore a Paesi quali Francia e Spagna. Non solo: molte scuole, specie nel Sud, integrano i finanziamenti ordinari con fondi Pon, arrivando a raccogliere anche 9-10 progetti per scuola. E sebbene l’obiettivo di questi progetti sia spesso legato al contrasto alla dispersione (abbandono scolastico), gli effetti sono miseri anche a causa della distribuzione a pioggia dei finanziamenti, per i quali si chiede solo una rendicontazione finanziaria, tralasciando invece la verifica dei risultati.

Il modello scolastico italiano ha una governance centralizzata praticamente immobile da oltre 100 anni; organi collegiali disegnati nel secolo scorso e un corpo docente con l’età media più alta d’Europa, senza una carriera programmata e con il peggior trattamento economico: motivi che azzerano incentivi verso il miglioramento e il cambiamento, con inevitabili conseguenze sulla qualità della didattica, già depotenziata da spazi scolastici inadeguati e da un patrimonio edilizio spesso troppo datato. 

Il nodo della scuola media

A farne le spese sono la formazione e gli studenti: solo nell’ultimo anno, circa la metà dei maturandi non ha sviluppato competenze sufficienti in italiano e matematica. “Il peggioramento inesorabile – sottolinea il rapporto – si registra a partire dalle scuole medie, tanto che l’Italia si colloca molto al di sotto delle medie internazionali soprattutto per le competenze di matematica”

E i numeri di questa porzione dell’Istituzione scuola, su cui è fondamentale agire, non sono piccoli: su 7246 istituti scolastici italiani, le scuole medie (intese anche come istituti comprensivi, che raccolgono elementari e medie) sono 4286. Gli insegnanti sono 200mila circa (su 800mila totali) per 1.508.598 studenti (1.504.364 degli istituti statali cui si aggiungono 4225 ragazzi delle paritarie).

I dati indicano che in questi 3 anni di scuola ci si gioca il futuro dei ragazzi: per questo è necessario trovare un sistema per invertire la rotta del “transatlantico scuola”, a partire proprio da qui, aprendo il dibattito anche alla luce di quanto si discute a livello internazionale per la fascia d’età 11-13 anni. Con modelli educativi meno frontali e più immersivi-esperienziali e una formazione che migliori la preparazione nelle materie STEM che hanno bisogno di laboratori, come dimostra il progetto Future Inventors promosso dalla Fondazione Rocca e dal Museo Nazionale Scienza e Tecnologia Leonardo Da Vinci di Milano.

Tecnologie scolastiche: le grandi assenti

L’immobilismo si traduce anche in una scuola poco incline all’innovazione: pochi istituti sono riusciti a trasformare gli ambienti di apprendimento, complici anche le barriere strutturali e normative che limitano l’autonomia scolastica e dei docenti. In questo panorama critico fanno eccezione due “isole virtuose”: la scuola primaria in cui i livelli educativi raggiunti alla fine della quinta elementare sono in linea con le medie europee e dove non si registra il gap Nord-Sud delle scuole di ordine superiore, e gli ITS (istituti tecnici superiori), le scuole di specializzazione tecnica post diploma. In queste ultime si evidenziano modelli di eccellenza: l’introduzione di tecnologie, metodologie didattiche innovative, attività didattiche con una forte impronta laboratoriale orientate allo sviluppo delle competenze. E a parlare del successo di questa metodica di insegnamento sono i numeri: la quota di studenti che trova un’occupazione entro un anno dal conseguimento del diploma negli ITS è superiore all’80-90%.

“La peculiarità di queste scuole così diverse – si legge nel rapporto – che si collocano agli estremi opposti del curriculum dello studente, sta nel fatto che l’insegnamento e i modelli organizzativi sono meno standardizzati, più flessibili e più competitivi. In queste due ‘isole’ lo sforzo educativo è orientato allo studente e allo sviluppo delle competenze”.  

Le azioni per invertire la rotta della Scuola: autonomia, middle management e presidi “animatori dell’innovazione”

Per “cambiare i numeri” occorre un profondo processo di innovazione e riorganizzazione. Viene in aiuto lo strumento dell’autonomia scolastica per passare dal sistema piramidale oggi vigente a un sistema flessibile, dove ogni istituzione abbia a disposizione risorse umane e finanziarie, obiettivi da raggiungere con autonomia di progettazione dei contenuti oltre che delle metodologie, del tempo e dello spazio della didattica. Con un sistema di incentivi per il corpo docente e la creazione di una carriera meglio strutturata, con quadri intermedi – il middle management – tra insegnanti e dirigenti. Questi poi dovrebbero associare alla formazione da manager quella di “animatori dell’innovazione”, ispiratori di autonomia nel team di lavoro e nei ragazzi. Il tutto secondo un percorso graduale, cominciando con un’autonomia differenziata e assistita. 

Il Pnrr contiene elementi potenzialmente dirompenti. In particolare, il concorso di idee per la progettazione di scuole innovative può consentire di rinnovare il patrimonio scolastico, rendendolo funzionale a un modello educativo maggiormente basato su autonomia, innovazione e pluralismo didattico. Il punto essenziale è che sia la didattica a trainare l’architettura e non viceversa: “sta anche qui – spiega il rapporto – la delicatezza dell’operazione e la sfida che il Ministro dell’Istruzione dovrà affrontare”.

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