Ripensare la valutazione: tre possibili strade per il cambiamento

Di Mario Castoldi

Negli ultimi mesi sono balzati agli onori delle cronache le esperienze di alcune scuole superiori italiane volte a superare il totem del voto decimale come perno della valutazione scolastica e ad esplorare nuove e diverse modalità valutative. Si tratta di un piccolo ma significativo indizio del disagio che la scuola reale, perlomeno la parte più sensibile e avvertita, prova verso le consuetudini e le strettoie della valutazione scolastica; del progressivo diffondersi tra i corridoi scolastici di un interrogativo sempre più nitido, sebbene fino a poco tempo fa ritenuto blasfemo: è mai possibile una scuola senza voti? All’origine di tali segnali possiamo identificare la progressiva distanza che si coglie, nella scuola del primo ciclo come in quella del secondo ciclo, tra le modalità tipiche e ancora prevalenti della valutazione scolastica e una valutazione orientata verso traguardi di competenza: un gap che i cambiamenti scolastici dell’ultimo ventennio hanno inesorabilmente messo a tema.

Stiamo parlando di due prospettive valutative profondamente diverse che richiamano premesse molto distanti tra loro: mentre una logica essenzialmente misurativa, che trova la sua espressione più evidente nell’assumere il giudizio conclusivo come una sorta di media – più o meno aritmetica –, delle prestazioni realizzate dall’allievo, la valutazione per competenze si basa su una logica di apprezzamento e trova la sua espressione più evidente in uno strumento come la rubrica valutativa, che proietta il giudizio valutativo verso una prospettiva qualitativa, resa più rigorosa dalla presenza di profili di apprendimento come termine di riferimento attraverso cui apprezzare l’esperienza del singolo allievo.

Mentre la valutazione scolastica è essenzialmente basata sulle discipline di insegnamento e, di conseguenza, si focalizza sul livello di padronanza delle risorse conoscitive da parte dell’allievo, la valutazione per competenze si fonda su traguardi di competenza che per loro natura tendono a travalicare i confini delle singole discipline e, di conseguenza. si focalizza su compiti di realtà, ovvero su situazioni nelle quali l’allievo è sollecitato a manifestare la propria competenza. Mentre la valutazione scolastica si basa su un principio di netta separazione tra apprendimenti formali, conseguiti a scuola, e apprendimenti non formali, conseguiti attraverso le esperienze extrascolastiche, la valutazione per competenze si basa su un principio di integrazione tra apprendimenti formali e non formali, a partire dalla premessa che la propria competenza ciascuno di noi la costruisce attraverso l’insieme delle esperienze di vita che compie.

Per provare ad attenuare questo scarto tra valutazione scolastica e valutazione per competenze indichiamo tre linee di ripensamento del processo valutativo, sulle quali da anni lavoriamo fianco a fianco insieme a gruppi di docenti e reti di scuole. La prima si caratterizza per la valorizzazione e la gestione Intenzionale e sistematica del momento valutativo in chiave formativa: si tratta di ricomporre quella frattura, avvertita da molti docenti nella loro pratica didattica, tra il proprio ruolo formativo e il proprio ruolo valutativo.

Questo è solo un estratto dell’articolo presente all’interno del
numero 634 della rivista Tuttoscuola.
Nell’articolo integrale entriamo nel dettaglio delle tre linee del ripensamento del processo valutativo pensate da Mario Castoldi.

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Chi è l’autore 
Mario Castoldi 
E’ dirigente scolastico dal 1993, dal 2001 docente di Didattica generale presso l’Università di Torino. Si occupa di problematiche valutative in ambito scolastico, in riferimento alla qualità degli apprendimenti, degli insegnamenti e del servizio scolastico.

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