
Ricciardelli: ‘Una nuova strategia industriale ha bisogno di un’Istruzione Tecnica all’altezza’

Intervista a cura di Orazio Niceforo
Il Ministero delle Imprese e del Made in Italy (MIMIT) ha recentemente reso pubblico un documento denominato “Made in Italy 2030”, presentato anche come “Libro Verde sulla Politica Industriale del Paese”. Con questo documento il MIMIT, guidato dal ministro Adolfo Urso, apre una consultazione pubblica che, attraverso gli Stati Generali dell’Industria porterà il nostro Governo alla definizione di un Libro Bianco sulla Strategia Industriale per il Paese, già dal prossimo febbraio 2025. Ne abbiamo parlato con l’ing. Valerio Ricciardelli, uno dei più autorevoli esperti italiani del rapporto tra sviluppo industriale e rilancio dell’istruzione tecnica, tema al quale è dedicato il suo recente volume Ricostruire l’istruzione tecnica.
Finora di questo Libro Verde si è poco parlato, malgrado l’evidente crisi di importanti settori dell’industria manifatturiera italiana. Qual è il suo obiettivo?
“Il Libro Verde è solo il punto di partenza di un più ampio processo, ma è comunque un documento corposo di ben 260 pagine, che merita molta attenzione. L’obiettivo di questo testo preliminare è di definire i punti cardinali della prossima politica industriale dell’Italia, iniziando a discutere su quattro temi portanti: 1) l’identità industriale italiana; 2) la sfida delle transizioni verde, digitale e geopolitica; 3) il ruolo strategico dello Stato nella sua azione nel mondo produttivo; 4) la dimensione internazionale della politica industriale. Tutti argomenti che condizioneranno il nostro futuro. Il successivo Libro Bianco sulla politica industriale del Paese dovrà essere un “contenitore unico”, il “driver principale che dovrà indirizzare, trascinare e contenere tutte le altre politiche del Governo che concorrono alla crescita produttiva, anche con il coinvolgimento fondamentale della risorsa umana. Per il nostro Paese, dove il settore manifatturiero con i servizi associati è trainante per tutta l’economia, è assolutamente necessario che si debba disporre di un chiaro piano industriale che indirizzi e supporti la strategia di crescita per le nostre imprese”.
Ma tra le diverse azioni di Governo già in atto, indirizzate alla crescita produttiva attraverso il coinvolgimento della risorsa umana, c’è anche la politica scolastica? La riforma dell’istruzione tecnica e professionale dovrebbe essere collegata in modo automatico a una chiara politica sull’employability e quindi del mercato del lavoro, tutte misure necessarie per sostenere una nuova politica industriale. Si va in questa direzione?
“La domanda è pertinente, ma per evitare una risposta immediata non affermativa è opportuno procedere con altri approfondimenti. Nel Libro Verde, infatti, c’è scritto ancora che “il quinquennio che ci porterà al 2030 sarà decisivo per le grandi sfide economiche dell’Italia”. Io aggiungerei, visto il recente rapporto Draghi, che lo sarà anche per l’Europa che sta vivendo una crisi di forte competitività con gli altri giganti mondiali a partire dagli Stati Uniti e con la locomotrice tedesca in grande difficoltà.
Poi, sempre nel Libro Verde, si legge: ‘In questi anni si deciderà se il nostro Paese avrà ancora i titoli ed i numeri per essere considerato una delle principali economie del pianeta o se invece esso sarà avviato a un destino di stagnazione e forse di declino nel nuovo sistema economico in cui saranno definitivamente cessate le rendite di posizione geoeconomiche ed irromperanno nuovi attori produttivi, nuove tecnologie e nuove interdipendenze’ e che ‘Una marginalizzazione economica ci riporterebbe indietro di decenni a cui farebbe conseguentemente seguito anche quella politica’. Non c’è da stare allegri, anche perché non vedo nelle politiche scolastiche delle misure terapeutiche di profilassi a supporto delle sfide che ci attendono. Queste preoccupazioni sono state l’origine del mio recente libro dove, già nel titolo, indicavo che era suonata ‘l’ultima chiamata per rimanere la seconda manifattura in Europa, per salvare la nostra economia e preservare il nostro welfare’, e che per affrontare queste evenienze fosse necessario ricostruire l’istruzione tecnica con una rivoluzione copernicana, passando anche qui attraverso una grande iniziativa di consultazione pubblica fatta con gli Stati Generali. Proposi, in tempi non sospetti, lo stesso formato che oggi è stato attivato per preparare il Libro Bianco sull’Industria. Le mie analisi, confermate dal rapporto Draghi e ora dal Libro Verde, sollecitavano la costruzione di un sistema di istruzione tecnica di eccellenza, che potesse essere una leva strategica per favorire una crescita economica immediata e sostenibile delle nostre imprese, così come una crescita occupazionale non precaria ed anche da usarsi come strumento di modulazione e valorizzazione dell’emigrazione economica attraverso politiche di cooperazione allo sviluppo. Sono tutti contenuti già ampiamente approfonditi nel mio libro”.
Ma non si è fatto nulla per andare in questa direzione?
“Dopo aver preso piena consapevolezza di quanto è scritto nel rapporto Draghi sulla competitività dell’Europa, ci rendiamo conto che una adeguata politica economica industriale di un paese manifatturiero importante come l’Italia è assolutamente vitale per il futuro economico e per mantenere il welfare. Quindi, la politica scolastica che ne consegue, intendendo l’istruzione tecnica e professionale a servizio del sistema economico e sociale del Paese, deve essere coerentemente collegata a quella industriale e in qualche modo, almeno nei metodi, devono viaggiare assieme. Ciò non significa solo affermare che ‘la scuola e le aziende si devono parlare tra loro’, come spesso con molta semplificazione si sostiene. Occorre invece disporre di una visione lunga e anticipatrice, che significa conoscere dove il Paese, con la sua politica nazionale collegata strettamente a quella europea vorrà o dovrà o potrà indirizzare l’economia industriale e quindi la crescita e lo sviluppo delle imprese, ancorato ad una politica dell’employability collegata al welfare che vorremmo attenderci. Attenzione però, ad evitare che con riforme frettolose non si metta il carro davanti ai buoi“.
Quali errori si dovrebbe evitare di ripetere?
“Lo stesso Libro Verde ci indica i molti errori commessi nel passato, che hanno portato spesso il nostro sistema industriale ad una navigazione a vista, senza nessun indirizzo strategico, ma beneficiando dello stellone delle nostre imprese. Leggiamo infatti che: ‘la politica industriale è certamente stata il grande assente nel dibattito sulle politiche pubbliche negli ultimi decenni soprattutto nel contesto del recupero di competitività del Paese’. Su questa frase mi sento però di dissentire perché così non è stato in occasione del Piano Industry 4.0. Nel documento è scritto ancora che: ‘la politica industriale è scomparsa dai radar delle politiche pubbliche e che è mancata una visione strategica complessiva’ e che oggi ‘è necessario disporre di una nuova politica industriale che deve essere necessariamente una politica ad ampio spettro’, intendendo che ‘deve essere attivata in maniera coordinata e combinata con altre politiche svolte tra più ministeri e agenzie pubbliche congiuntamente, e che solo tale carattere olistico e l’integrazione dell’azione amministrativa possono fornire le soluzioni comuni necessarie ad affrontare problemi complessi di natura globale’. ‘Visione olistica’ e ‘integrazione’ sono termini ricorrenti nello scritto, che dovrebbero essere fatti propri anche dalla scuola, che deve prendere in considerazione questo documento e agire di conseguenza. Lo stato attuale dell’istruzione tecnica e professionale, ridotte nella percezione comune a percorsi scolastici di serie B e serie C, e il grave disallineamento tra la domanda di tecnici espressa dalle aziende e l’offerta quantitativa e qualitativa dei profili usciti dalla scuola, sono l’esito delle criticità prima evidenziate, frutto di riforme precedenti errate e quindi anche della mancanza di una visione olistica e dell’integrazione. L’assenza di una chiara politica industriale, soprattutto nel contesto dell’economia globale, non ha permesso di conoscere l’importanza del settore manifatturiero, la sua evoluzione nel tempo così come la conoscenza delle professioni tecniche e della loro evoluzione, superando gli stereotipi del passato che le consideravano solo come mestieri sporchi, pesanti e mal retribuiti. Insomma, il mondo stava cambiando ed è cambiato e non ce ne siamo accorti e oggi dobbiamo correre ai ripari con affanno, evitando di pensare di avere già la ricetta giusta in tasca. La lettura del Libro Verde stimolerebbe molte altre riflessioni, anche mettendo in evidenza alcuni passaggi non convincenti, non sufficientemente approfonditi sui quali si può dissentire, o altri argomenti completamente disattesi. Il capitolo sul capitale umano necessiterebbe di essere integrato con osservazioni e valutazione più approfondite. Ci si augura che si provvederà a colmare le lacune con il Libro Bianco definitivo”.
Quali lacune in particolare?
“Il Libro Verde evidenzia una inopportuna ideologizzazione del marchio Made in Italy, inducendo un po’ di confusione sull’argomento, quasi che tutto il settore manifatturiero italiano fosse rappresentabile con il Made in Italy. Così non è, ma non c’è tempo per approfondire questo aspetto. Comunque il documento indica, finalmente, che la parte preponderante del Made in Italy è il settore della meccanica strumentale. Si tratta, come ho scritto più volte, del cosiddetto machinery industriale, inteso come macchinari e impianti produttivi, necessari a produrre beni in una vasta gamma di settori economici. Va precisato peraltro che la manifattura del nostro paese non è solo la trasformazione di materie prime e semilavorati: è anche l’assemblaggio di prodotti industriali ad alta innovazione tecnologica di produzione straniera per costruire sistemi industriali e macchine complesse che sono l’asse portante delle nostre esportazioni. La descrizione dell’importanza del Made in Italy nel Libro Verde evidenzia anche quello che a me sembra un ossimoro, quando indica come scelta strategica per il sostegno di questo settore economico l’istituzione di un liceo apposito, soluzione decontestualizzata dalla realtà, dove sarebbe invece necessaria una buona istruzione tecnica a supporto del Made in Italy, fatta da una rete di istituti tecnici per il Made in Italy da collocarsi almeno nelle 4 regioni o nelle 12 province dove il Made in Italy è prodotto”.
Il Libro Verde si occupa essenzialmente di politica industriale, ma quali ulteriori riflessioni si possono suggerire per la politica scolastica?
“Ricostruire l’istruzione tecnica, con una rivoluzione copernicana come ho più volte indicato, nelle condizioni in cui ci troviamo e per le sfide a cui saremo sottoposti è materia assai complessa e non è solo l’aggiustamento o l‘aggiornamento curricolare sulla base delle innovazioni tecnologiche. È ben altra cosa che dovrebbe essere affrontata da un nuovo ministero apposito. Prima o dopo ci si dovrà arrivare. Nel frattempo, una proposta più concreta e più fattibile potrebbe essere l’attivazione dello stesso percorso messo in atto dal Ministero delle Imprese, ossia la definizione anche da parte del MIM di un Libro Verde, l’apertura di una consultazione pubblica, l’attivazione degli Stati Generali per poi arrivare alla stesura del Libro Bianco sull’Istruzione Tecnica. Questa idea sarebbe coerente con gli approcci di coinvolgimento e consultazione previsti già nel Libro Verde dell’Industria e individuati nei caratteri ad ampio spettro denominati Whole-of-governement e Whole-of-a-nation. In tal modo si allargherebbe subito la sensibilità al problema a tutta la Società, a partire dalle famiglie e dagli studenti. Poi si estenderebbe la consultazione pubblica a quegli attori con alte expertise che finora sono stati ai margini delle discussioni. Mi riferisco alle principali società di consulenza e formazione e alle business school e industrial management school che possono trasferire la loro conoscenza ed esperienza nel mondo dell’education. Il portfolio prodotti e servizi di costoro ha già approfondito tutte le analisi dei bisogni di nuove competenze immediate e in prospettiva, e predisposto una articolata strategia terapeutica per affrontare le trasformazioni aziendali a cui saranno sottoposte le nostre imprese. Quale migliore occasione per applicare la visione olistica e l’integrazione, a partire dalla riforma dei percorsi quinquennali, in modo da far coesistere tutti i modelli riformati finora in una competizione costruttiva e generatrice di valore?”.
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