
Ricchi e poveri, sui banchi e in cattedra

Alla vigilia del primo quarto di secolo del nuovo millennio, nell’Italia democratica e repubblicana 5.700.000 persone – il 9,7% della popolazione – vive in povertà “assoluta”, è cioè carente delle risorse necessarie alla sopravvivenza. I soggetti che versano in tali condizioni manifestano il bisogno di un minimo vitale che viene in qualche misura soddisfatto dalle attività delle istituzioni pubbliche deputate all’assistenza sociale o da associazioni del volontariato. Povertà e disagio coinvolgono in modo particolarmente penalizzante i minori. Secondo i dati Istat, relativi all’anno 2022, i minori che vivevano in povertà assoluta erano 1.270.000 (13,4%). Nelle Regioni del Mezzogiorno la percentuale arrivava al 16%. Il grave stato di deprivazione abitativa, il tasso di sovraffollamento e la povertà, anche educativa, dei congiunti condizionano ovviamente la vita scolastica dei minori.
I capi d’istituto, il più delle volte, li registrano tra gli alunni “dispersi” perché non si sono mai presentati a scuola, oppure hanno presto abbandonato le aule e lasciato vuoto il loro banco. Poiché è provato che “la povertà diminuisce al crescere del titolo di studio che il soggetto possiede”, ne consegue che la mancata frequenza scolastica consolida il loro stato di povertà e ne compromette il futuro percorso esistenziale. Altro che ascensore sociale!
La Carta costituzionale prevede di “rimuovere le cause” che ostacolano la parità di partenza di tutti i membri della comunità, ma l’auspicio sancito dalla legge fondamentale dello Stato, dopo oltre tre quarti di secolo, rimane ancora una frontiera tristemente lontana. Le azioni messe finora in campo dalle Istituzioni pubbliche e private non hanno conseguito buoni risultati tanto che negli ultimi anni la povertà assoluta è aumentata. Ove il fenomeno non venga efficacemente attenzionato e contrastato potrebbe addirittura procurare, in futuro, preoccupanti cedimenti nella normale vita democratica alla coesione della Nazione.
I sociologi oltre alla povertà assoluta rilevano nel contesto comunitario la povertà “relativa” che negli ultimi tempi ha allargato il campo di operatività del disagio. Quest’ultima condizione interessa una grossa quota di lavoratori laddove l’occupazione non garantisce alla persona una vita dignitosa per sé e per la propria famiglia. Chi sono i lavoratori poveri? Quelli che prestano la loro attività in nero, in grigio, con il part time obbligato, anche con contratti regolari ma con condizioni salariali inadeguate oppure in modo precario. Proprio per effetto dei bassi redditi molti soggetti che lavorano vedono infatti limitata la sfera delle esigenze primarie e si ritengono lontani dal comune benessere della persona. La povertà relativa è dunque caratterizzata dalla “impossibilità di fruire di beni e servizi che nella normalità dovrebbero essere alla portata di tutti coloro che vivono nella stessa area territoriale” (come scrive il professor Gerardo Villanacci, Corriere della Sera dello scorso 3 febbraio). Il riferimento “all’area territoriale” è un fattore molto importante. Richiama il grave squilibrio che si manifesta nel potere di acquisto della retribuzione “egualitaria” dei dipendenti del pubblico impiego e quindi anche dello stipendio degli operatori del sistema formativo.
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Chi è l’autore
Enzo Martinelli
Autore di Tuttoscuola, direttore generale MIUR a riposo.
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