Quanto è difficile premiare il merito

Le notizie provenienti dalle città scelte dal Ministero per sperimentare i meccanismi premiali voluti dal ministro Gelmini a favore delle scuole e degli insegnanti ‘migliori’ sono pesantemente negative: a Napoli e a Torino le adesioni sarebbero state inferiori all’1%, e malgrado l’estensione della sperimentazione ad altre città non si prevede che le cose andranno molto meglio.

Eppure varie ricerche effettuate tra gli insegnanti mostrano che esiste una loro diffusa disponibilità ad essere valutati, e che non c’è una preclusione di principio verso il riconoscimento del merito individuale  soprattutto tra gli insegnanti più giovani, come mostra un recente studio promosso dalla Fondazione Agnelli.

Come si spiega dunque l’insuccesso della proposta ministeriale? Sotto accusa sembra esserci la composizione della commissione incaricata di valutare e scegliere i docenti ‘migliori’, formata dal dirigente scolastico affiancato da due insegnanti e da un rappresentante dei genitori. Oggetto di critica, da parte dei docenti, è soprattutto l’idea di essere valutati dai propri colleghi (con quali competenze valutative, con quali criteri, di quale area disciplinare?), ma anche la presenza all’interno della commissione del dirigente scolastico e di un genitore viene percepita come un condizionamento per la libertà di insegnamento. Eppure in alcuni istituti liceali di Milano è stato deliberato all’unanimità che i genitori e dove possibile anche gli studenti potranno dare entro l’anno le pagelle ai loro professori, che hanno accettato serenamente un giudizio sul loro operato.

Non si sa se a questo punto esistono le condizioni per effettuare una sperimentazione che abbia i requisiti minimi per essere significativa. Il ministro insiste sulla sua linea che considera la meritocrazia “l’unico modo per rendere il nostro Paese veramente egualitario e per dare pari opportunità”, come ha detto in un’intervista radiofonica dedicata prevalentemente alla riforma dell’università. Ma ancora una volta ad essere messo in discussione, per l’università come per la scuola, non è il se, ma il come premiare il merito.

Del resto fare valutazione non vuol dire soltanto varare le linee guida entro i termini e secondo forme e modalità concordate anche se solo con le organizzazioni sindacali, ma gestire la sua realizzazione nei contesti territoriali e “reggerla” politicamente.

Che poi in questa fase qualche soggetto sociale possa dare man forte alle proteste del mondo della scuola rientra nella logica della politica.