Quando l’inclusione diventa un dogma pericoloso/1. Il caso del niqab di Monfalcone

La notizia, data dalla giornalista Gianna Fregonara in un servizio per il Corriere della Sera (5 febbraio), ha suscitato interesse e discussione perché, per la prima volta in Italia, è stato consentito ad alcune studentesse di una scuola statale (l’Istituto Professionale Pertini di Monfalcone, in provincia di Gorizia) di indossare in classe il niqab, il velo nero che copre tutto il corpo, compreso il volto, e lascia scoperti solo gli occhi. Le alunne sono originarie del Bangladesh, come molti degli operai che lavorano nei cantieri di Monfalcone.

Una pratica vietata in Italia da una legge (numero 152/1975) che vieta di coprirsi il volto nei luoghi pubblici, ma che la preside di quell’istituto ha ritenuto di non rispettare ritenendo prioritario l’obiettivo di includere le ragazze nel processo formativo: imporre di scoprire il volto “può indurre le ragazze a lasciare la scuola, mentre l’istituzione raggiunge il suo scopo quando l’allievo consegue i cinque anni di studio. Di qui la necessità di ricreare tranquillità e fiducia per far sentire a casa le giovani e capire se il lavoro di insegnanti e compagni possa portarle a essere più libere”.

Così ogni mattina, prima dell’inizio delle lezioni, in un’apposita aula apprestata nell’atrio, all’ingresso della scuola, una insegnante, appositamente incaricata, provvede a identificarle e fa loro alzare il velo per controllarne l’identità. Dopo, possono stare in classe col velo integrale mentre per le ore di educazione fisica hanno un programma speciale e un insegnante specializzato.

Immediate le ripercussioni politiche della vicenda a livello locale (Consiglio comunale di Monfalcone e Consiglio regionale del Friuli-Venezia Giulia) e nazionale. A livello locale, per ora e sia pure con motivazioni diverse, destra e sinistra convergono nel criticare la decisione della preside di ammettere le alunne con niqab in classe. Alle reazioni a livello nazionale è dedicata questa notizia.

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