Quando gli ebrei venivano espulsi dalla scuola

Piero Terracina, ebreo, ex deportato del lager di Auschwitz – Birkenau, da anni continua a portare la sua testimonianza, incontrando studenti nelle scuole in occasione della giornata della memoria. Ecco lo stralcio di uno dei suoi tanti interventi.  

Ero un ragazzo felice, l’ultimo di una famiglia di otto persone, protetto dall’affetto di tutti. Tre giorni prima avevo compiuto 10 anni. Il 15 novembre come tutti gli altri giorni entrai in classe e mi diressi verso il mio banco ed ebbi la sensazione che i miei compagni mi osservassero in modo insolito. L’insegnante fece l’appello ma non chiamò il mio nome; soltanto alla fine mi disse che dovevo uscire e alla mia domanda: ‘Perché? Cosa ho fatto?’ Mi rispose: ‘Perché sei ebreo’.
Mi sentii smarrito, provavo rabbia e mi rendevo conto che stavo subendo una terribile ingiustizia. Ero stato educato all’amore per lo studio e mia madre non tralasciava occasione per ricordarmi che riuscire nello studio era il mezzo per riuscire nella vita e pensai subito alle sue parole. Andai con il pensiero al mio futuro e mi vedevo costretto a dover svolgere i lavori più umili per vivere. E poi gli amici. Erano tutti lì in quella classe. Avrei potuto averli ancora come amici? No, non fu possibile. Non è mai arrivata una telefonata di un genitore per avere notizie. Tutti spariti. Ci sarà pure stato qualcuno che non era fascista, eppure nessuno ha mai mostrato indignazione per quello che stava accadendo ma neppure solidarietà. Evidentemente era una cosa che non riguardava la gente, ma riguardava gli altri e gli altri eravamo noi Ebrei.

Passai subito alla scuola ebraica che era stata organizzata in tutta fretta per accogliere quel gran numero di ragazzi cacciati dalle scuole di ogni ordine e grado (anche non governativa, recitava la legge). Non fu certo difficile formare un corpo insegnante molto valido per il fatto che tutti i docenti ebrei dalle elementari all’università avevano dovuto abbandonare anch’essi la scuole pubbliche e si erano improvvisamente trovati senza lavoro.   

Il primo anno, in quinta elementare, fu un anno di transizione. Molti disagi anche per la mancanza di spazi adeguati. Nacquero però subito tra i correligionari, che in precedenza non avevo mai frequentato tranne i miei cugini, delle nuove amicizie e alcune delle mie amicizie di oggi sono ancora quelle nate allora. Poi l’anno successivo le medie, in quella che era certamente una scuola diversa, non solo per la capacità che gli insegnanti dimostravano nella disciplina che erano chiamati ad insegnare, ma anche per la loro qualità di educatori. Alcuni conoscevano le nostre famiglie e se lo ritenevano necessario ci seguivano anche al di fuori della scuola. Ho un ricordo molto bello dei miei insegnanti e in particolare del preside, il professor Cimino, un giovane professore non ebreo che era stato nominato dal Ministero. Entrava spesso nelle classi e ci incitava a studiare perché, diceva, voi e soltanto voi dovete e potete dimostrare che, malgrado quello che vogliono far credere non siete inferiori agli altri giovani della vostra età e queste parole erano per noi uno stimolo molto importante.

Ma quella scuola funzionò soltanto fino all’anno scolastico 1942/43. Poi con l’8 settembre e l’occupazione tedesca ci fu il precipitare degli eventi: la fuga dalle nostre case braccati dai fascisti, la consegna, me e i miei familiari insieme a migliaia di nostri correligionari, ai loro alleati tedeschi per essere portati a morire per gas nei lager dell’est e per essere dati alle fiamme nei forni crematori. Fummo traditi per 5000 lire a persona da un ragazzo fascista che tra l’altro corteggiava mia sorella. 8 persone totale 40.000 lire. A quei tempi era una bella cifra. Vennero 7 SS in pieno assetto di guerra, urlando cose incomprensibili. Eravamo tutti insieme per festeggiare la pasqua ebraica. Fummo portati a Fossoli, e poi ad Auschwitz.

Piero ad un certo punto si ferma. Dice: “non vi racconto le altre sofferenze perché  secondo me, esiste un limite alla credibilità dell’orrore”.