Quale visione per quale scuola?

Il mondo intero, e in esso il mondo della scuola, è tuttora profondamente scosso dall’evento pandemico, in Italia e nel mondo interno. Le istituzioni scolastiche e formative e i loro dirigenti sono sfidati nel rintracciare soluzioni di emergenza, che garantiscano la continuità educativa. In realtà, dopo la scioccante novità, e mentre la curva epidemica torna a salire, la questione del cambiamento organizzativo non sembra doversi ispirare soltanto a criteri sanitari: le soluzioni didattiche adottate durante l’emergenza sembrano infatti possedere caratteristiche tali da potersi considerare non più solo come rimedi, ma come linee trasformative, con un raggio d’azione che si estende al di là della contingenza. E’ molto probabile che tra queste ci siano quell’insieme di prospettive intorno ai quali la riflessione pedagogica si coagulava già prima del virus, invocando un cambiamento paradigmatico. Se fosse così, la loro validità a lungo termine non può dipendere semplicemente da un evento catastrofico, ma dalla loro stessa capacità di interpretare il presente e il futuro, avendo come stella polare il successo formativo delle nuove generazioni.

In realtà, a molti sembra che il virus abbia semplicemente accelerato un processo di trasformazione che era già in atto, per motivazioni intrinseche ai vari ambiti sociali, e alle loro dinamiche evolutive. Questa accelerazione sarebbe dovuta ad un effetto di amplificazione di quelle “anomalie” che, come sosteneva Kuhn, rappresentano i precursori dei mutamenti di paradigma.

La scuola, certo, non sfugge a questo scenario problematico, anzi, probabilmente ne rappresenta uno degli avamposti più delicati, sia per la sua importanza per il futuro delle nuove generazioni, che per una certa inerzia organizzativa che sembra contraddistinguerla, rendendola refrattaria ai cambiamenti molto più che altre tipologie di organizzazione.

In effetti, molte industrie, servizi, uffici e fabbriche stanno elaborando un percorso trasformativo, con quell’intraprendenza che è indotta con forza dalla necessità di stare sul mercato, rispondendo in modo efficace ai mutamenti del contesto e dei bisogni che da esso si generano. La scuola non sembra andare di pari passo, faticando a mettere in discussione le tradizionali regole del suo funzionamento, tra spazi, tempi, risorse e raggruppamenti. Così, il dibattito sembra consumarsi intorno a temi quali il banco singolo, il distanziamento, l’uso dei dispositivi di protezione, le risorse finanziarie necessarie e poco altro.

In realtà, occorre che la scuola, anche in forza del COVID-19, rifletta in profondità sul mutato contesto storico, che hatrasformatoprofondamente i bisogni educativi delle nuove generazioni, lungo i due assi della globalizzazione e della digitalizzazione. Per chi come me ha superato la mezza età, parole come globale e digitale recano in sé una certa percentuale di timore, forse per qualcuno anche di spavento. Certamente le trasformazioni in atto contengono elementi ambigui e forieri di rischio per la formazione delle nuove generazioni, ma anche nuovi e straordinari mezzi e strumenti, e comunque mutati bisogni educativi, che non coincidono con quelli delle precedenti generazioni.

E’ evidente che i giovani, affacciandosi al lavoro e alla vita, affronteranno sfide in gran parte nuove  e mutate, e dunque dovranno essere corredati di un set di competenze che li mettano in grado di vivere con successo nel loro contesto, aggirando i rischi e fruendo delle opportunità, per diventare quel tipo di uomini che il contesto attuale richiede, per essere governato verso il bene e il meglio. Possono le istituzioni scolastiche e formative essere il luogo principale dove questa formazione viene fornita e garantita?

L’era industriale, coeva con l’educativo cartaceo, ruotava intorno all’idea di standard, sia nella linea produttiva che negli esiti dei processi formativi. L’istruzione e la formazione dovevano introdurre ad un mondo stabile, in cui non era difficile pensare di fare lo stesso mestiere del padre, venendo formati a perpetuare modi consueti ed efficaci per avere successo nella vita e nel lavoro. Il set di conoscenze e abilità godeva della medesima stabilità, potendo semmai essere accresciuto (vedi il ben noto adagio dell’innalzamento degli standard), ma non trasformato nella sua concezione.

L’era attuale, da Floridi definita iperstoria, richiede uomini in grado di affrontare la complessità, di pensare globalmente e in modo creativo, di comprendere altre culture, di interagire con gli altri in presenza e in remoto, di gestire se stessi e altri attraverso rapide fasi di cambiamento.  Globalizzazione e digitalizzazione interpellano profondamente i sistemi educativi, a partire dal punto cruciale, ovvero la definizione delle loro stesse mete. Non si tratta semplicemente di adottare un nuovo metodo o di acquisire nuove risorse, quanto di ripensare la missione stessa della scuola, gli esiti attesi, l’organizzazione del curricolo esplicito e implicito, la formazione iniziale e continua del personale e il rapporto con la comunità nel suo complesso. Diversamente, per evitare i rischi connessi alle nuove sfide, si finisce per non fornire ai giovani quel corredo antropologico necessario per affrontare le sfide stesse, contribuendo a instaurare in studenti e allievi una sorta di doppia identità, quella scolastica (astratta e lontana, quando non sopportata o al più accettata come parentesi) e quella reale, vissuta senza il filtro critico di coraggiose mediazioni culturali, che la scuola potrebbe, e forse dovrebbe fornire.

La tecnologia, in particolare, sembra rappresentare paradossalmente una delle principali cause del rapporto controverso tra i giovani e la scuola: infatti, l’uso frequente delle tecnologie da parte dei giovani potrebbe condizionare intensamente la loro percezione di ciò che è rilevante e ciò che invece non lo è per il loro apprendimento. E’ probabile che l’elevato tasso di disamoramento quando non di abbandono scolastico sia dovuto almeno in parte al fatto che la scuola fatica ad entrare nell’era digitale.

Già nel 2008 Palfrey e Gasser affermavano l’evidenza di un radicale bivio per i sistemi educativi. Ci sarebbero infatti due possibili scelte: la prima consiste nel vietare e negare quanto è possibile mettere in atto con Internet e i Social; la seconda nel fare scelte coraggiose, curvando le nuove tecnologie verso un futuro foriero di nuove opportunità, tipiche dell’era digitale. Il divario tra le due scelte è critico, affermano ancora i due autori: le scelte che si faranno ora decideranno come i nostri figli  vivranno la loro esperienza in diversi ambiti: come apprendono, creano e maneggiano informazioni per prendere decisioni; come saranno in grado di innovare e di prendersi responsabilità come cittadini. Nella prima scelta, i sistemi educativi cercano di limitare la creatività, l’espressione di sé e l’innovazione nella sfera pubblica e privata; nell’altra, abbracciano le opportunità dei nuovi media, amplificandone gli effetti postivi e minimizzandone i pericoli e le ambiguità.

I sistemi educativi, a prescindere dal COVID-19, devono dunque cambiare radicalmente le loro policies riguardo all’uso delle tecnologie. Non solo a studenti e allievi deve essere consentito l’utilizzo del loro dispositivo personale (e persino fornito loro, qualora ne siano sprovvisti per ragioni socio-economiche), ma deve essere data loro l’opportunità di apprenderne l’uso a fini di apprendimento, per ricevere mandati di lavoro, comunicare con compagni e docenti, sviluppare prodotti culturali in modo realistico e multimediale.

 Non si tratta di abiurare il passato, facendo apparire tutto ciò che è nuovo come giusto e buono e tutto ciò che è tradizione come errato ed iniquo: il paradigma cartaceo ha portato grandi frutti per lo sviluppo dell’umanità, affrontando le proprie sfide contestuali, e, tanto per dirne un paio, debellando l’analfabetismo e promuovendo un livello di benessere sconosciuto alle precedenti generazioni. Tuttavia, i sistemi di istruzione e formazione devono essere guidati dalla speranza per un futuro migliore, non dalla paura di perdere quanto acquisito ieri oppure oggi.

*Docente università cattolica del Sacro Cuore di Milano e Brescia